E alla fine questo benedetto GOTV è arrivato. E ha portato con sé una sorta di impazzimento generale: i comitati locali incominciano a fare a gara tra di loro a chi bussa più porte, si lavora dalle 8 di mattina alle 11 di sera (anche se, lo confesso, sono riuscito a guardare Juve-Inter di nascosto mentre inserivo i dati), Laila e Natalia lanciano ordini neanche fossero la signorina Rottermeier con Heidi e Clara.



L’altro elemento di novità dato dal Get Out the Vote è l’allargamento della squadra. Smettiamo così di essere un comitato che raccontato sembra una barzelletta: c’erano una volta un’olandese, una caraibica, due italiani e un cinese di Taiwan, che avevano formato un comitato per Obama. Ebbene sì, sono arrivati persino degli americani. C’è Tyreik, diciottenne che ci raggiunge assieme alla madre, appena uscito dalla High School. La signora deve aver vissuto male il rapporto tra popolazione bianca e nera della città (in effetti da sempre abbastanza conflittuale): quando fa le telefonate per Obama è convintissima che le persone interrompano la conversazione a causa del colore della sua pelle. Laila ha anche provato a spiegarle che a noi succede lo stesso e che è difficile stabilire l’etnia delle persone dal timbro della voce, ma la madre di Tyreik pare essere molto convinta.



Ma non è certo lei il personaggio più pittoresco che vediamo entrare oggi al comitato (che poi non è nient’altro che casa di Natalia, con i mobili spostati e qualche cartellone sui muri).

Sia io che Giovanni veniamo inviati a fare il door to door con due nuovi arrivati. A me capita Michael, che scoprirò essere un membro di Occupy Philadelphia (la versione locale di Occupy Wall Street) ed è una sorta di alternativo all’americana, con una grande passione per il “green”, sia che si parli di economia sia che si parli di quello che si fuma abitualmente (qui le sigarette costano troppo, mi spiega).



Gio invece è in coppia con Sam, avvocato fino all’altro ieri e da lunedì “prosecutor” di Philadelphia. Sam è stato Field Director in Michigan nel 2008 e ha lavorato alla campagna al Senato in Georgia. Insomma, è stato “uno che conta”. Ma ad un certo punto si è stufato e ha mollato tutto. Così è qui, a fare il volontario assieme a noi (anche se non fa mancare un paio di risposte ben assestate a Laila, che tende a dargli qualche ordine di troppo).

L’ultima novità interessante è che la gente inizia ad aprire la porta: se prima capitava una volta su dieci, ora si affacciano all’uscio quasi la metà delle persone. Il clima elettorale si inizia a sentire davvero. Tardissimo per gli standard italiani, visto che mancano quattro giorni. Ma tant’è.

Mentre ci parli le persone ti assicurano che andranno a votare: è un florilegio di of course, obviously, sure. Ma chi conosce bene le campagne americane ci racconta che non c’è da fidarsi. Funziona esattamente come con i volontari. Il rapporto tra chi ti dice che verrà e chi si fa vedere sul serio è 30 a 1. Per un’originale concezione del concetto di cortesia qui non se la sentono di dirti di no: ti dicono di sì, salvo poi non fare quello che hanno detto.

Quanto alla sfida Obama Romney vedo che in tantissimi giocano con le arti divinatorie. La realtà è che ormai mancano quattro giorni e la partita sarà inevitabilmente un testa a testa fino alla fine: tutti i sondaggi negli stati chiave sono dentro al limite dell’errore statistico. Detto in linguaggio tecnico, è un terno al lotto. Non ci saranno scatti in avanti decisivi dell’uno o dell’altro, anche se questo non significa che alla fine non ci possano essere vittorie anche molto larghe. Se, per un caso fortuito, uno dei due vincesse la gran parte degli 11 stati in bilico, anche per pochissimi voti, si troverebbe ad avere una maggioranza considerevole nei delegati (è un discorso valido soprattutto per Obama). Ma questo, prima, non lo possiamo sapere.

Il presidente uscente ha due piccoli vantaggi: il primo è che arriva all’Election Day forte della buona gestione di Sandy, il secondo che ha una macchina elettorale molto più forte e meglio oliata di quella del candidato repubblicano (per esempio, ha il triplo degli uffici elettorali di Romney in Ohio). Ma da qui a dire che la strada è in discesa deve passare ancora molta acqua sotto i ponti.

 

Vicesegretario nazionale dei Giovani Democratici, Giacomo Possamai si divide tra Vicenza (dove vive), Bologna (dove studia Giurisprudenza) e Roma. Attualmente segue in prima persona la campagna elettorale di Barack Obama dagli Stati Uniti. 

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