Tra pochissime ore apriranno i seggi nei 50 stati americani: dalle 7 di mattina alle 8 di sera, oltre 200 milioni di americani saranno chiamati a recarsi alle urne. Nel 2008 l’affluenza giunse al 56,8%, un dato record per la storia americana. E proprio quello che qui chiamano turnout sarà l’elemento decisivo per la vittoria delle elezioni: Obama avrà reali possibilità di vittoria solo se riuscirà a portare a votare quelli che sono i suoi “storici” bacini elettorali. In primis le minoranze: afroamericani, latini e asiatici. E poi i giovani e le fasce di elettorato più colto (i famosi liberal democrats). Sono banalizzazioni, ma abbastanza corrispondenti alla realtà.



Riguardo all’esito del voto esistono tre filoni di pensiero tra gli analisti elettorali americani. Il primo è quello che sta emergendo con più forza ed evidenza anche in Italia: c’è un testa a testa tra i due candidati e ci aspetta una lunghissima notte elettorale, con una corsa all’ultimo voto. Alcuni sono arrivati addirittura a teorizzare che non basterà una notte per sapere chi ha vinto: in molti stati americani, tra cui alcuni di quelli in bilico, se il distacco tra i due fosse inferiore allo 0,5% si dovrebbe procedere al riconteggio manuale delle schede (qui si vota tramite macchinette elettroniche che funzionano come scanner). Il secondo punto di vista è quello di Nate Silver e Paul Krugman, che prevedono una vittoria ampia di Obama e che merita di essere approfondito.



Il primo dei due è uno statistico e matematico che ha inventato un algoritmo, in grado di prevedere i risultati, applicato prima al baseball e poi alla politica. Grazie a questi calcoli Nate Silver ha indovinato il risultato in 49 stati americani su 50 alle ultime elezioni, sbagliando di pochissimi delegati il conto totale. Silver tiene un blog  interessantissimo sul sito del New York Times, dove ha predetto il risultato elettorale: 315 delegati Obama, 222 Romney. Con un risultato di questo tipo Obama supererebbe di slancio quota 270, che assegna la vittoria.

Paul Krugman, già premio Nobel per l’economia, ha addirittura scritto un articolo sul New York Times sostenendo che chi dice che è un testa a testa è uno stupido. Da un lato si basa sui dati di Silver, dall’altro insiste sulla situazione degli stati in bilico, che in effetti è incontrovertibile. Degli undici stati ancora contendibili, in Ohio, Virginia, New Hampshire, Michigan, Wisconsin, Pennsylvania, Iowa, Colorado, Nevada è in vantaggio Obama. In Florida e North Carolina guida Romney. Quindi in nove stati su undici i sondaggi danno Obama davanti. E in più, tra i delegati sicuri, Obama è sopra di 201 a 191. Krugman quindi dice: “Tutto può succedere nella vita, ma non ditemi che questa è una situazione in cui sono alla pari”.



Ma anche l’ultima teoria, sostenuta da Dick Moss e altri analisti, è degna di essere raccontata. Secondo questi ultimi, Romney è in ampio vantaggio e danno una spiegazione, in realtà molto razionale, del perché i sondaggi sono sbagliati. Negli Usa i sondaggi vengono fatti quasi esclusivamente al telefono, ma molte persone delle fasce più umili della popolazione statunitense non possiedono né un telefono di casa, né un cellulare. Il voto di queste persone viene calcolato e ponderato all’interno del sondaggio: ma secondo questi analisti si sta considerando un’affluenza delle minoranze e dei più poveri assolutamente sovrastimata, pari a quella del 2008. Mentre è credibile che oggi saranno in molti meno a recarsi alle urne. Insomma, c’è una gran confusione e solo il risultato elettorale dirà chi ci ha preso sul serio.

Nel frattempo prosegue la misteriosa strategia di Romney in Pennsylvania: anche oggi ha tenuto uno speech davanti a 20.000 persone. Misteriosa perché, a oggi, i sondaggi non giustificano un impiego di tempo e risorse di questo genere in uno stato che lo vede almeno 4 punti sotto. I casi sono due: o ci sono cose che noi non sappiamo oppure è la mossa del tutto per tutto (la Pennsylvania assegna 20 delegati, due in più dell’Ohio).

Obama, a scanso di equivoci, ha mandato qui Bill Clinton, che ieri ha tenuto un comizio davanti a 6000 persone nel palazzetto dello sport della Penn University. E c’eravamo anche noi. E’ stata un’esperienza incredibile, più uno spettacolo che un discorso elettorale. Con la banda che suona le hit del momento per scaldare la folla, gli slogan scanditi dalla platea con i diversi settori che si rispondevano l’un l’altro, i cartelli con gli slogan tenuti alti con le mani.

In generale, l’aspetto che mi ha colpito di più è stato l’entusiasmo: nulla a che vedere con quanto accade in Italia. Ma al di là del contorno, mi ha colpito la prestazione di Clinton: carismatico, brillante, ficcante sui temi.  Ed è proprio quest’ultimo punto, quello che va sottolineato più degli altri: la nettezza con cui l’ex presidente poneva i temi. Mettendo gli interlocutori davanti a una scelta: sei contro o a favore della riforma sanitaria? Contro o a favore del salvataggio dell’industria dell’automobile? Contro o a favore la riforma della scuola pubblica? Chiaramente in questa occasione l’uditorio era schierato, ma era all’opinione pubblica che parlava Clinton.

La politica americana ha molti più difetti di quanto non venga generalmente raccontato, ma questo grande pregio le va riconosciuto: mettere i cittadini davanti a una scelta chiara sul loro futuro. Cosa sulla quale, dalle nostre parti, balbettiamo ancora un po’.

 

Vicesegretario nazionale dei Giovani Democratici, Giacomo Possamai si divide tra Vicenza (dove vive), Bologna (dove studia Giurisprudenza) e Roma. Attualmente segue in prima persona la campagna elettorale di Barack Obama dagli Stati Uniti.

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