Il Partito Repubblicano si presenta in modo diverso rispetto alle ultime elezioni per l’emergere di un fenomeno relativamente nuovo, il Movimento del Tea Party, che ha condizionato negli ultimi tempi il GOP, il Grande Vecchio Partito. Il Tea Party è a sua volta fortemente condizionato dai libertarian, conservatori in economia ma spesso progressisti in materia sociale. L’accusa di essere influenzato da questa corrente è rivolta per esempio a Paul Ryan, il cattolico candidato Repubblicano alla vicepresidenza. Ilsussidiario.net ha intervistato John Samples, direttore del Center for Representative Government (Centro per il governo rappresentativo) del Cato Institute, un think tank di area libertarian, per avere un giudizio sulle elezioni presidenziali di oggi.
Quali sono le principali differenze tra Obama e Romney per quanto riguarda la politica estera, in particolare verso l’Europa?
Non penso vi sia una grande differenza tra i due sotto questo profilo. Romney ha dichiarato che sarà più deciso nel sostenere e difendere Israele, ma non è chiaro se cambierà di molto l’attuale atteggiamento americano. Anche per quanto riguarda l’Europa è difficile immaginare grandi cambiamenti. La differenza principale è forse la minore popolarità in Europa di Romney rispetto a Obama, ma è difficile capire come questo possa trasformarsi in una diversa politica. Dopo tutto, l’interesse del Presidente per l’Europa dipende da quanto ritiene che l’Europa sia importante per gli interessi americani. Anche se Obama considerasse l’Europa un ambito a lui favorevole e che lo appoggia, non credo che questo influenzerebbe il suo comportamento.
Secondo lei, il modello europeo di welfare potrebbe essere per gli Stati Uniti positivo o negativo?
I conservatori lo ritengono un modello negativo, ma i progressisti, d’altro canto, non ritengono che sia una buona idea seguire il modello europeo. Almeno, non lo dicono esplicitamente, anche se magari pensano che sia ciò che gli Usa dovrebbero fare, o quello verso cui si stanno avviando. È interessante notare che, per la destra, alcuni modelli europei potrebbero essere applicabili, come per esempio quello svedese, dove si utilizzano i voucher per la scuola e il sistema pensionistico è stato riformato privatizzandolo. Tuttavia, non se ne parla e ci si allinea sugli schieramenti tradizionali.
La sinistra ha un proprio modello di welfare state?
La sinistra qui è focalizzata per il momento sulla riforma sanitaria, che è di per sé un programma molto vasto. Gli ampliamenti di cui parlano sono inseriti comunque all’interno della cosiddetta Obamacare. Quindi, per quanto riguarda il welfare state, si è già raggiunta una nuova soglia legislativa.
Qual è la sua previsione per il voto negli stati in bilico, dove i risultati sono ancora incerti?
Sembra probabile che Obama vinca in Ohio e penso che Romney potrà spuntare vittorie di stretta misura in Florida e Virginia. Romney per vincere ha bisogno di Virginia, Carolina del Nord e Florida, forse anche dell’Ohio, ma qui Obama sembra essere, come detto, in testa. Qualcuno osserva che la situazione è simile a quella del 2004, quando i sondaggi davano i due candidati molto vicini, ma il presidente uscente godeva comunque di un vantaggio. Allora era Bush e infatti vinse. Anche ora, nelle ultime settimane i sondaggi hanno dato risultati molto vicini, ma Obama ha diversi vantaggi, organizzativi e di altro tipo, e nell’ultima settimana si trova un po’ più avanti nei sondaggi. A volte, se il candidato uscente non è chiaramente in testa, gli incerti possono essere spinti a votare per l’alternativa, in questo caso Romney, ma la sensazione è che Obama abbia più probabilità di vincere, a partire dall’Ohio.
Personalmente, lei cosa spera?
Il Cato Institute è un think tank libertarian, o neo-liberal, e nessuno dei due attuali candidati è particolarmente su questa linea, né è particolarmente attraente. Personalmente penso lo sarebbe Gary Johnson, ma è solo il terzo candidato e non ha possibilità di vincere. Sarà già un miracolo se riuscirà a ottenere il due per cento dei voti. Per me, potrebbe essere un presidente migliore di questi due, ma la mia è una speranza senza possibilità di realizzarsi.
Quali sono i problemi principali che lei ha nei confronti di Obama e Romney?
Per quanto riguarda Romney, l’impressione è che abbia manovrato bene per arrivare a questa posizione e sono sicuro che sia una persona brava e intelligente, ma è difficile capire in che cosa creda realmente e quale sia la sua vera posizione. Gli americani vogliono sapere in che cosa il loro presidente crede fortemente, e questo con Obama è chiaro. Gli elettori sanno che è per un governo forte e in favore del welfare state, quello cioè che ha fatto con la riforma sanitaria. Con Romney, è difficile capire bene la sua azione politica passata: come governatore del Massachusetts non ha dimostrato posizioni decisamente conservatrici e risulta così difficile ipotizzare la sua azione da presidente. Abbiamo bisogno di tagliare la spesa pubblica, ma Romney sembra avere intenzione di aumentare il bilancio della difesa e la sua politica estera è simile per certi versi a quella di Bush. Il partito sembra essere allineato su queste posizioni e ciò mi preoccupa. Non possiamo permetterci un’altra guerra da trilioni di dollari e con Romney questa eventualità è più probabile, anche se non è il caso di esagerare questa probabilità.
Pensa che molti elettori siano delusi dai due candidati e possano, quindi, astenersi dal votare?
La mia previsione è che la percentuale di votanti sarà inferiore al 2008, ma quelle elezioni hanno registrato le percentuali più alte di voto negli ultimi 30-40 anni. Penso che questa volta si potrà avere forse attorno al 58% degli elettori registrati, vale a dire circa il 40/45% del totale degli elettori. Nel 2008 si è raggiunto il 61% dei registrati e i valori recenti più alti si sono avuti a metà degli anni ’60, ma non si è mai raggiunto il 70% o l’80%, come accadde all’inizio del 1900. Comunque, non mi pare di vedere un particolare entusiasmo, salvo limitati casi, per nessuno dei due candidati, a differenza di quanto accadde nel 2008 per Obama. Un entusiasmo che è ora decisamente appannato.
(Maria Bond)