In precedenza abbiamo pubblicato l’intervista con un titolo che non rifletteva il contenuto né il pensiero del professor Parsi. Abbiamo provveduto a correggerlo e ci scusiamo con l’interessato e con i lettori.
Il direttore, Luca Raimondi
Un video diffuso da Telesur on-line ha mostrato presunti ribelli siriani mentre costringevano un bambino a decapitare con una spada un prigioniero sdraiato a terra. Immagini shock alla vigilia della riunione dei Paesi “Amici del popolo siriano” al via mercoledì a Marrakesh in Marocco. Ilsussidiario.net ha intervistato l’analista esperto di politica internazionale, Vittorio Emanuele Parsi. Gli Stati Uniti hanno inserito i ribelli del Fronte al-Nusra nella lista delle organizzazioni terroristiche.
Per quale motivo i Fratelli musulmani siriani hanno definito questa scelta “un grave errore”?
Anche il Fronte di salvezza nazionale dei ribelli ha la sua agenda e deve tenere conto delle relazioni sul campo con al-Nusra. Quindi magari ringrazia ed è contento, ma poi è costretto suo malgrado a protestare ufficialmente. La dissimulazione in Medio Oriente è un’arte che non è praticata soltanto dagli iraniani. Gli iraniani appunto.
Fino a che punto la strategia Usa in Siria ha come obiettivo la creazione della democrazia, e fino a che punto mira a indebolire l’Iran?
Sicuramente molto più a indebolire l’Iran che a creare la democrazia. Nessuno pensa che in Siria possa esservi la democrazia, almeno nell’immediato, soprattutto dopo una guerra civile sanguinosa e così crudele, e visti anche gli interlocutori sul campo. La guerra in Siria porta in dote agli americani il crollo di un regime molto legato all’Iran, e quindi anche l’indebolimento di Hezbollah in Libano. Da un certo punto di vista quindi l’America vede questo come un vantaggio. Va d’altra parte riconosciuto che se la minaccia iraniana viene meno, la possibilità per gli Stati Uniti di tenere distinta la questione dell’appoggio ai regimi arabi moderati e a Israele diventa più difficile.
In che senso?
Gli Stati Uniti sono alleati tanto di Israele quanto dell’Arabia Saudita, che però a loro volta non sono alleati tra di loro. Questa situazione è possibile perché c’è una minaccia, tanto per gli uni quanto per gli altri, che si chiama Iran. L’America può quindi giustificare il fatto di proteggere tanto Israele quanto l’Arabia Saudita, che sono tra loro nemici, proprio in quanto li sta difendendo dall’Iran. Nel momento in cui Teheran non costituisse più una minaccia così imminente, i sauditi non accetterebbero più con la stessa facilità la protezione che gli Stati Uniti accordano a Israele, e lo stesso varrebbe anche dal punto di vista opposto.
Diversi giornali israeliani, come The Times of Israel, affermano che tra Israele e Arabia Saudita esiste in realtà una tacita alleanza …
In passato Riad e Tel Aviv sono stati non ostili semplicemente grazie al legame con gli Stati Uniti che li accumuna. Quanto sta avvenendo in Siria, Egitto e Tunisia apre prospettive per l’Arabia Saudita diverse da quelle che c’erano in precedenza e fa sì che la questione arabo-israeliana possa riaccendersi da un momento all’altro.
In che modo?
Attraverso la saldatura tra l’Arabia Saudita e gli altri Paesi arabi. Se in Siria cade Assad, Israele perde un amico. Assad a parole è sempre stato contro Israele, ma in realtà si è sempre guardato da fare anche solo il minimo gesto che potesse creare dissapori con lo Stato ebraico. Se poi Israele pensa di potere regolare i conti con Hezbollah in Libano per via indiretta colpendo Assad, in quanto tanto l’uno quanto l’altro sono sciiti, anche lì fa male i conti.
Perché?
Il vero problema nella regione è rappresentato dal radicalismo sunnita. Se a Damasco prende il potere un governo più radicale, se in Libano i sunniti si rafforzano e pensano di chiudere la questione con Hezbollah, magari Israele può essere convinto di togliersi un problema, ma in realtà gli si apre un baratro. Il vero radicalismo è infatti quello sunnita, e non quello sciita.
Quanto la politica Usa in Siria è simile al sostegno che stanno fornendo ai Fratelli musulmani egiziani?
Sono due situazioni diverse, in quanto in Siria è in corso una guerra civile e gli Usa si sono mossi con estrema prudenza, mentre la situazione è però ancora fluida. In Egitto al contrario l’endorsement americano a Morsi è stato successivo alla sua vittoria. L’apertura di un dialogo con i Fratelli musulmani non significava un appoggio, e non è detto che questo appoggio resti.
(Pietro Vernizzi)