Migliaia di sostenitori di Hamas sono scesi per le strade di Nablus, in Cisgiordania, per festeggiare il 25esimo anniversario della fondazione del movimento. Dal 2007 l’Autorità Nazionale Palestinese aveva proibito le manifestazioni del partito rivale, al potere nella Striscia di Gaza, ma giovedì l’hanno permessa. La scelta fa parte del tentativo di riconciliazione nazionale in corso tra i due movimenti, i laici di Al Fatah e gli islamisti di Hamas. Ilsussidiario.net ha intervistato monsignor Maroun Lahham, vescovo di Amman e arcivescovo di Tunisi, che appartiene a una famiglia palestinese in esilio in Giordania.
Monsignor Lahham, come valuta il fatto che Hamas sia tornata nelle strade della Cisgiordania?
E’ un segno della riconciliazione tra Al Fatah e Hamas. Penso sia giunta l’ora di fare la pace tra i palestinesi, mi auguro che non si parli più di divisioni all’interno di questo popolo. Si tratta quindi di un fatto positivo. Sono ottimista perché ritengo che tanto Al Fatah quanto Hamas abbiano capito che il futuro è nella riconciliazione e non nei conflitti.
Di recente il leader di Hamas in esilio, Khaled Meshaal, accusato di attentati terroristici, è tornato per la prima volta a Gaza. Che cosa ne pensa?
Quella di Meshaal è stata una conversione che lo ha portato al rifiuto della violenza e alla volontà della pacificazione. Parlando a Gaza ha dichiarato che il suo principale punto di riferimento è l’Olp, cui in passato si era sempre opposto, e ha aggiunto che il suo prossimo passo sarà verso la riconciliazione palestinese. Dobbiamo andare tutti verso questa direzione.
Quali sono i motivi di quella che lei definisce una “conversione”?
Il fatto che lo stesso Meshaal ha capito che l’indipendenza si raggiunge con la pace e non con la violenza, mentre quest’ultima non fa che attrarre altra violenza. Grazie anche alle pressioni dell’Egitto, c’è stata una convergenza tra le posizioni di Meshaal e quelle dell’Olp, e sono quindi ottimista.
Come vede il futuro della Palestina dopo il riconoscimento dell’Onu?
Sappiamo che è stato compiuto un passo avanti di grande importanza e speriamo che il futuro sia la liberazione, attraverso i negoziati e non attraverso la violenza. Speriamo di potere festeggiare presto nella Palestina libera.
Abu Mazen ha detto che non riaprirà i negoziati con Israele se prima non saranno accettate alcune pre-condizioni. Che cosa ne pensa di questo fatto?
Bisogna aprire i negoziati, la pace si fa solamente con le trattative. Tutto è pronto, da qualche giorno si parla di una riapertura dei colloqui di pace e mi auguro che ciò avvenga in tempi rapidi.
Sappiamo che una delle questioni più controverse è il ritorno dei palestinesi in esilio. E’ davvero un’ipotesi praticabile?
Sui 3-4 milioni di palestinesi in esilio che vivono in Giordania, soltanto alcune centinaia di migliaia vorranno ritornare in Palestina, sempre che sia concesso loro il diritto di ritorno. Ormai vivono in Giordania da oltre 60 anni, tra loro c’è anche la mia famiglia la quale non penserà mai a ritornare. Ormai i palestinesi si sono integrati in Giordania, hanno un lavoro, case e terreni cui non vogliono rinunciare.
I cristiani arabi si sentono parte del popolo palestinese o sono discriminati?
Non solo si sentono parte, ma sono parte sostanziale del popolo palestinese. Il conflitto non è mai stato di natura religiosa, ma di tipo politico. I palestinesi cristiani in Cisgiordania sono palestinesi al 100%, soffrono e gioiscono con i loro fratelli musulmani. Non sono affatto discriminati in quanto cristiani, sono discriminati in quanto palestinesi.
La Primavera araba a porterà benefici alla Palestina?
Il vento di libertà e di democrazia non soltanto in Egitto, ma in tutti i Paesi che hanno vissuto la famosa Primavera araba, toccherà certamente l’intera regione. Adesso il futuro del mondo arabo è sbocciato, la gente capisce quali sono i suoi diritti e non ha più paura di parlare, la strada dei Paesi del Medio oriente non ha più dei tabù o delle linee rosse.
I Paesi arabi diventati democratici verranno in aiuto alla Palestina?
La Palestina si libererà con le mani dei palestinesi. Questi ultimi non si devono aspettare la salvezza dall’esterno, devono prendere il proprio destino nelle loro mani e arrivare alla libertà con le loro stesse forze.
In che modo?
Con i negoziati, con l’avvio di un processo di pace, con un po’ di pazienza, facendo alcune concessioni, ma tendendo a un traguardo cui prima o poi arriveranno.
(Pietro Vernizzi)