Doppia tornata elettorale in Egitto (si è votato ieri, 15 dicembre, mentre la seconda tranche è prevista il 22 dicembre). 51 milioni d persone sono chiamate alle urne in una fase politica convulsa, segnata dagli scontri che hanno provocato dieci morti tra cui il giornalista El-Hosseiny Abu-Deif. Si vota per approvare la nuova Costituzione, elaborata da Fratelli musulmani e salafiti senza la partecipazione dei liberali. Durante i lavori dell’Assemblea Costituente i parlamentari laici si erano dimessi in blocco, e anche domani non è chiaro se i nuovi partiti nati dalla rivoluzione voteranno no o si asterranno. Ilsussidiario.net ha intervistato Antonello Folco Biagini, esperto di geopolitica all’università La Sapienza di Roma.
Partiamo dalla posizione dei rivoluzionari. Come valuta il loro rifiuto di qualsiasi compromesso?
Intanto il termine “rivoluzionario” in queste situazioni va usato con molta prudenza. E’ difficile immaginare oggi un ulteriore passaggio rivoluzionario, forse una rivoluzione sostanziale c’è stata nel gennaio 2011 quando tutte le forze politiche si sono trovate contro Mubarak. Oggi invece sta diventando uno scontro tra partiti diversi. I liberali puntano su forme di boicottaggio totale che ritengo sia un errore dovuto magari alla loro inesperienza politica. Le transizioni come quella che sta attraversando l’Egitto sono momenti complessi, passare da un sistema diretto dall’alto a uno rappresentativo che si regge sul consenso e sulle elezioni, è un passaggio estremamente delicato.
Quali sono i rischi dell’attuale fase?
Il punto debole delle democrazie è che non sempre sono sinonimo di stabilità, anche perché il sistema elettorale può portare al potere delle forze estremiste. L’atteggiamento di rifiuto di qualsiasi compromesso è quindi sempre un errore, perché se ci sono un Parlamento e un’Assemblea chiunque ha il dovere di partecipare e cercare di affermare le sue ragioni all’interno di un quadro giuridico istituzionale. Occorre che il nuovo testo della Costituzione esca nel migliore dei modi possibili. Spesso chi fa le rivoluzioni è come se non avesse la pazienza necessaria affinché il percorso si compia in tutti i suoi passaggi.
Per quale motivo il presidente Morsi, accentrando i poteri, ha rinunciato all’immagine di leader democratico che si era costruito finora?
Nella maggior parte degli Stati del Medio Oriente non c’è una tradizione dei partiti politici, come li intendiamo e come li abbiamo costruiti in Occidente. I Fratelli musulmani sono stati avvantaggiati perché erano un’organizzazione che preesisteva e ha continuato a esistere, anche se in modo clandestino, negli anni di Mubarak. Alla caduta del rais erano già una forza politica e si sono dati la veste di partito “democratico” riuscendo a vincere le elezioni. Finché terranno una linea moderata, i Fratelli musulmani potrebbero anche essere una soluzione nella transizione verso la democrazia.
Gli islamisti sono davvero compatibili con la democrazia?
Il concetto di democrazia è applicato in tutto il mondo, ma il contenuto pratico che le si dà può essere diverso. Le elezioni per esempio si fanno dovunque, anche nei regimi dittatoriali. Non sono quindi il sinonimo di democrazia in assoluto.
Intende dire che le elezioni del 2011-2012 in Egitto sono state manipolate?
No, ma è stata la prima volta in cui nel Paese si faceva un ragionamento sulla democrazia. In precedenza l’Egitto si era retto sempre su un sistema autocratico, se non autoritario, con un leader proveniente dalla classe militare. Non esistendo una borghesia organizzata, che è quella che poi ha costruito le borghesie nell’Ottocento e nel Novecento, la fascia sociale più istruita e con maggiori rapporti con l’estero era quella composta dai membri dell’esercito.
Non a caso Mubarak era un ufficiale dell’Aeronautica Militare.
Il regime di Mubarak era gestito dai militari, ma non poteva essere definito un regime militare. La figura del rais, come si diceva all’epoca di Mubarak, è quella di un personaggio che anche se non è un dittatore come lo intendiamo noi in Occidente, è una figura autorevole e spesso autoritaria. Quello cui oggi stiamo assistendo in Egitto è il primo tentativo di democrazia. I Fratelli musulmani, identificandosi a torto o a ragione con la democrazia e avendo ottenuto la maggioranza, temono che si ripropongano altri schemi di gestione del potere nel Paese.
Quali?
Per esempio un ritorno al potere dei militari, o un prevalere del disordine. Il Partito Libertà e Giustizia legato ai Fratelli musulmani tenta quindi di compiere un’operazione che renda più sicuro il potere che è stato acquisito.
Nel frattempo l’esercito sta tentando di organizzare una serie di colloqui per il “Dialogo Nazionale”. Quali sono i suoi veri obiettivi?
L’esercito è l’unica organizzazione diffusa su tutto il Paese, con una classe dirigente rappresentata dagli ufficiali che può contare mediamente su una buona cultura. Spesso in queste situazioni diventa una sorta di ago della bilancia, tanto è vero che nel momento in cui c’erano le manifestazioni l’esercito tendeva a continuare a difendere il potere di Mubarak. I militari sono ciò che i Fratelli musulmani temono di più, forse questo spiega anche il perché di questa svolta, laddove il presidente Morsi ha cercato di arrogarsi dei poteri che non erano previsti dalla Costituzione.
Perché la riunione prevista per mercoledì è saltata?
La riunione è saltata perché è probabile che sia in atto una trattativa tra i militari e i Fratelli musulmani per vedere in che modo la situazione può essere tenuta in equilibrio. C’è da tenere conto anche della miseria e di una situazione esplosiva su altri piani, e non soltanto su quello ideale e politico. Ci sono problemi concreti di gente che vive in una povertà sempre più accentuata. E’ a questo livello che si giocherà una sorta di compromesso tra i Fratelli musulmani e le altre componenti del Paese.
(Pietro Vernizzi)