È sufficiente superare i limiti dell’ultimo quartiere di Buenos Aires, una delle città più singolari e metafisiche del mondo, per entrare in una sorta di film dove la natura mostra come in pochi altri luoghi al mondo non solo la sua forza ma anche la sua incommensurabile bellezza. La terra nei suoi multipli colori si incontra con un cielo che pare giocare con essa, tanto è cambiante non solo nei suoi toni cromatici ma anche nelle geometrie delle nuvole, che disegnano spesso vere e proprie opere d’arte che non possono non stimolare la fantasia di chi di questo bellissimo spettacolo ne è fortunato spettatore. Questa tavolozza è arricchita dalla presenza di un mondo animale e vegetale che da sempre ha costituito l’immensa ricchezza di questo Eldorado, l’Argentina, il cui nome rievoca un metallo prezioso che pare toccarsi nel vivere queste immagini.



Sembra incredibile, ma questa incommensurabile positività che si estende per oltre 5.000 chilometri fino a lambire il Polo Sud soffre da anni di una crisi dettata da chi questo mondo, che ha partorito non solo culture indie organizzatissime (anche se non riconosciute tali a livello storico) e quella cultura gauchesca che tanto ha contribuito non solo alla nascita ma anche allo sviluppo dell’agricoltura e dell’allevamento, non l’ha mai capito a fondo e solo in sporadiche occasioni l’ha aiutato. Parliamo della politica, che da alcuni anni sta letteralmente affondando questa risorsa. Un osservatore abituale e attento si sarà sicuramente accorto, ad esempio, che le zone riservate al pascolo bovino sono diminuite… frutto di decisioni errate, spesso falsamente populiste.



Per cercare di capire meglio la situazione attuale abbiamo intervistato il Dottor Gonzalo Villegas che non è solo il presidente di una società, la Manolo Gaucho, tra più importanti del settore in Argentina, ma la sua famiglia, che la gestisce, appartiene alla storia del Paese, giacché un’antenata era proprietaria di terre che includevano una delle meraviglie del mondo, le cascate dell’Iguazù, che oggi marcano il confine tra Argentina, Brasile e Paraguay.

Venduti questi possedimenti ne vennero acquistati altri in una zona, quella di Saladillo, a circa 180 km da Buenos Aires, in piena pampa, dove attualmente, tra culture e allevamenti, vengono gestiti più di 10.000 ettari con le più avanzate tecnologie, spesso sperimentate su queste terre. Tra queste quella della semina diretta, una tecnica che, limitando al minimo la movimentazione della terra, ne aumenta il rendimento, e la creazione di una razza bovina, la Limangus, che unisce i vantaggi di due, la Aberdeen Angus e la Limousin.



Dottor Villegas, nell’immaginario di molti paesi del mondo la prima immagine che sorge dell’Argentina a livello paesaggistico è quella di una pampa piena di bovini al pascolo. Però, da alcuni anni si è persa la leadership mondiale nell’esportazione della carne che adesso la vede al terzo posto dopo il Brasile e l’Uruguay. Il boom della coltivazione della soia ne è la causa?

La grande diffusione della semina diretta a cui si sommano periodi climatici caratterizzati da buone precipitazioni e incrementi storici del prezzo della soia hanno provocato un’emigrazione del pascolo bovino verso le zone settentrionali del Paese: su questo non c’è dubbio. Però non lo prenderei come la causa che ha generato la perdita del mercato delle esportazioni. Il produttore di carne ha dimostrato che, in presenza di convenienza economica, può avere più capi e applicare le più moderne tecnologie, cosa non successa proprio a causa di una situazione sconveniente.

Cos’è successo allora?

Più di tre anni fa il Governo è intervenuto in forma aggressiva nel mercato della carne, chiudendo di fatto le esportazioni, non rispettando le quote Hilton (limiti imposti dall’Ue per le importazioni di carne in Europa, ndr), entrando in conflitto con i produttori, fissando prezzi massimi e imponendo alle catene dei supermercati un abbassamento dei prezzi. Uniti ad altri, questi fattori hanno provocato quello che logicamente succede nei mercati: ossia molti produttori hanno abbandonato l’attività, cosa che per l’Argentina ha significato una perdita di 12 milioni di capi.

 

Anni fa è scoppiata in effetti una vera e propria guerra tra l’attuale Presidente argentina, Cristina Fernandez de Kirchner e l’intero settore agricolo, da lei accusato di evasione fiscale e di non rispettare le normative che proteggono i lavoratori del settore. È esatto?

 

No, il gran conflitto conosciuto come “la 125” iniziò allorchè il Governo decise di imporre tassazioni variabili. In pratica, se il prezzo della soia, per esempio, aumentava, lo Stato si intascava il 90% dell’aumento con la quota impositiva, percentuale che scendeva solo a fronte di una caduta grandissima dei prezzi. La reazione non solo del settore, ma dell’intera società, ha provocato manifestazioni e occupazioni stradali in tutto il Paese, con momenti di estrema tensione che, a quanto si dice, hanno portato la Presidente a un passo dalle dimissioni. Successivamente il progetto, inviato alla Camera per le votazioni, non venne approvato per il voto contrario dell’ex Vicepresidente Julio Cobos. Da quei giorni, in pratica, non esiste un dialogo tra la Presidenza e il nostro settore: ognuno procede separatamente per la propria strada.

 

Quanto alle accuse di lavoro nero ed evasione fiscale?

 

Il lavoro nero era diffuso per attività stagionali, quali, per esempio la raccolta della frutta, della canna da zucchero o del tabacco. Al giorno d’oggi diventa estremamente rischiosa per il produttore questa modalità, per le cause giudiziarie che possono intercorrere in caso di incidenti sul lavoro o licenziamenti. Il settore agricolo e dell’allevamento ha al giorno d’oggi la maggior pressione fiscale del Paese non solo per quanto concerne la produzione, ma anche la tassa sulle terre di proprietà è triplicata: in pratica lo Stato si prende in tasse il 75% del fatturato del settore, cifra che aumenta qualora le proprietà coltivate siano affittate. Bisogna anche considerare che le tasse sulle esportazioni lo Stato le applica pure in caso di annate produttive sfavorevoli. Nel biennio 2008-2009 molti produttori hanno perso cifre fino a 300 dollari per ettar e di questa cifra lo Stato ha preso 100 dollari, facendo in pratica fallire molti di loro.

 

Uno dei problemi più incombenti, da molto tempo, risiede nell’avanzamento della desertificazione e la conseguente mancanza di terra che possa risolvere la fame di un mondo sempre più popolato. Al contrario l’ Argentina dispone di una superficie immensa e fertile con una popolazione di solo 40 milioni di abitanti, vantaggio che in teoria porrebbe il Paese in una situazione di grandissima ricchezza. Però, incredibilmente, allo stesso tempo esiste una povertà diffusa in ampi settori della popolazione, fatto che causa la fame. In teoria si dovrebbero prendere dei seri provvedimenti per trovare una soluzione a tutto ciò: secondo lei, quali sarebbero quelli attuabili a breve?

 

Senza dubbio l’Argentina possiede il miglior rapporto terra coltivabile/abitante. Il fatto è che qui la catena della distribuzione non raggiunge le classi meno abbienti… oppure ci arriva male. C’è anche tantissima corruzione in questo: i piani di aiuto ci sono, ma sono spesso gestiti da rappresentanti politici che li offrono in cambio di militanza, partecipazioni alle manifestazioni, ecc. In pratica, si regala poco pesce a ognuno, ma non gli si insegna a pescare. Un esempio è quello che succede con il grano.

 

Ce lo può spiegare?

Il Governo proibisce l’esportazione di 6,5 milioni di tonnellate quando per la panificazione ne occorrono solo 2,5 milioni e protegge la filiera produttiva che non è più competitiva a livello di esportazione, con il risultato che il prezzo del pane è aumentato di più di 5 volte rispetto al costo di produzione della materia prima: chi produce guadagna poco e la gente paga tantissimo. In Argentina ci sono sussidi generalizzati su luce, gas, acqua, trasporti e persino sul calcio. Si dovrebbero però aiutare solo le classi meno abbienti, oltre a fornirgli una cultura adeguata e un inserimento sociale.

 

Da molti anni l’Ue sussidia abbondantemente l’intero mondo agricolo con fondi che di fatto costituiscono un ostacolo alle importazioni da altri continenti.

 

L’Unione europea deve sostenere i suoi produttori, perchè altrimenti finisce l’agricoltura e questo non conviene a nessuno: si aumenterebbe l’inquinamento e la catena produttiva alimentare si troverebbe indifesa di fronte a un cambio climatico a livello mondiale. È una strategia in cui la società paga gli agricoltori perchè non interrompano la propria attività e continuino a coltivare la terra, perchè l’ambiente e l’ecosistema migliorino rispetto all’avanzata industriale. L’Europa ha vissuto due grandi guerre e il ricordo della fame fa sì che non si cancelli la cultura agricola, per quanto antieconomico possa essere.