Israele ha intensificato l’insediamento dei coloni nei territori contesi, per ritorsione contro il voto favorevole alle Nazioni Unite sul riconoscimento dello Stato della Palestina. La mossa del premier Benjamin Netanyahu fa salire nuovamente la tensione, a poche settimane dal cessate il fuoco a Gaza raggiunto faticosamente grazie alla mediazione egiziana. Il conflitto minaccia di inasprirsi, e a farne le spese sono innanzitutto i cristiani arabi, che vivono da entrambi i lati della barricata, sia nello Stato di Israele sia nei territori palestinesi. Come sottolinea Camille Eid, giornalista libanese cristiano, di recente le autorità di Israele hanno invitato i giovani cattolici e ortodossi, per legge esentati dal servizio di leva, a entrare in massa nell’Esercito di Gerusalemme. “Si tratta di una politica molto dannosa – spiega Eid – perché si illudono dei ragazzi che in questo modo difenderanno le loro famiglie. In realtà la conseguenza sarà che la loro identità di palestinesi finirà per essere profondamente compromessa, imprimendo una dolorosa accelerata all’esodo dei cristiani dalla Terrasanta che dura da ormai 75 anni”.
Netanyahu ha giustificato la ripresa degli insediamenti, spiegando che da parte dei palestinesi c’è stata una “chiara violazione degli accordi firmati”, i quali non prevedevano la richiesta di un voto Onu …
Se noi torniamo a tutti i piani e gli accordi firmati, da Oslo fino alla road map, troviamo che era prevista la formazione, la costituzione e la proclamazione di uno Stato palestinese. Talvolta si davano anche delle date, anche se poi nessuno di questi piani è stato rispettato. Quando nel 2002 George W. Bush insieme al quartetto aveva annunciato la road map in tre fasi, si indicava il 2005 come l’anno della costituzione di uno Stato palestinese. A distanza di sette anni non si è visto ancora nulla.
Come si spiega quindi la reazione di Netanyahu?
A mandare su tutte le furie il governo israeliano è il fatto che il suo obiettivo era barattare l’approvazione di una costituzione dello Stato palestinese con il riconoscimento di Israele come Stato del popolo ebraico. Netanyahu lo ha detto ieri in modo esplicito, quando come condizione pone che “l’Autorità palestinese riconosca Israele come Stato del popolo ebraico”. La stessa risposta di Israele, che ha deciso di incentivare gli insediamenti, è a sua volta un passo unilaterale che complica ulteriormente la situazione nella zona.
Quali sono le conseguenze del conflitto israeliano-palestinese sull’esodo dei cristiani palestinesi dalla Terrasanta?
L’esodo degli arabi cristiani dai luoghi di Gesù è in corso dal 1948 se non da prima. E il risultato è che ormai sono più numerosi in Cile che a Betlemme e Nazareth, che un tempo erano luoghi a stragrande maggioranza cristiana. Gli arabi cristiani che sono rimasti vivono sia all’interno dei territorio israeliani, come Nazareth, la costa e Gerusalemme, sia a Betlemme, Ramallah, Gaza e negli altri territori palestinesi. Da un lato ci sono quindi dei cristiani che fuggono dai territori palestinesi perché vi è una crescita degli ambienti fondamentalisti e della potenza di Hamas. Se un tempo la questione palestinese era innanzitutto un fatto di identificazione nazionale, oggi vi è un’insistenza eccessiva sull’aspetto islamico della lotta di liberazione. D’altra parte ci sono anche dei cristiani che fuggono da Israele perché, come altri palestinesi, non si sentono cittadini a pieno titolo.
Da parte di Israele c’è il pieno impegno a favorire l’integrazione dei cristiani?
Di recente c’è un fatto molto grave per quanto riguarda i cristiani che vivono in Israele, in quanto la comunità cristiana è stata sollecitata a entrare nell’Esercito israeliano. Nello Stato d’Israele gli arabi, siano essi cristiani o musulmani, non prestano il servizio di leva obbligatorio ma possono fare parte dell’Esercito come volontari. A fine ottobre si è tenuta una riunione con i liceali cristiani e alcuni ufficiali dell’Esercito di Gerusalemme, per invitare i cristiani ad arruolarsi. Si tratta di una minaccia per la comunità cristiana in Palestina.
Per quale motivo ne è convinto?
Perché esiste un precedente che riguarda i drusi, i cui giovani prestano servizio nell’Esercito, con la conseguenza che la comunità drusa è emarginata dal resto degli arabi che vivono in Israele. Proprio per questo motivo, illudere i giovani cattolici o ortodossi che abbracciando le armi contribuiscano a proteggere le loro comunità da abusi o aggressioni da parte dei musulmani, è una politica dannosa per l’identità araba dei cristiani. Se dovesse essere portata avanti, ciò spingerà i cristiani a emigrare sempre di più per non diventare una parte in causa del conflitto israeliano-palestinese.
(Pietro Vernizzi)