Happy New Year! E, come cantava una band che risponde al nome di “Counting Crows”… “Maybe next year will be better than the last…”, forse l’anno prossimo sarà meglio di quello passato. Happy New Year, America. L’anno prossimo sarà meglio? Come si fa a non sperare? Abbiamo ragioni per sperare che l’anno prossimo sarà meglio? Dicevamo qualche giorno fa, citando Don Giussani, che la speranza è una certezza nel futuro fondata su qualcosa di presente, ora. Che cos’ha questa America di oggi? Cosa abbiamo racimolato sotto l’albero, cosa ci ha portato Santa Claus? Le tragedie, recentissime, sono sotto gli occhi di tutti. Da ultima questa donna che l’altro ieri ha spinto giù dalla pensilina della subway un poveraccio. Odio razziale, rancore verso coloro che ci hanno fatto del male. Che hanno fatto del male all’America. E poi quelle folli, insensate sparatorie di Newtown, Aurora… brutti segnali per una società che si dibatte nella palude di una crisi economica ed occupazionale, un nuovo scenario quotidiano che mette sotto assedio l’inguaribile ottimismo Americano. “The best is yet to come”, il meglio deve ancora venire. Lo slogan del Presidente Obama sembra un’affermazione fuori luogo se non una battuta di cattivo gusto. Siamo passati da “Hope”, speranza, di quattro anni fa, alla ridicola presunzione che tutto sta andando per il verso giusto. Forse l’American dream sta diventando l’illusione Americana? Almeno i Counting Crows dicevano “maybe”‘, “forse”. “Forse” supereremo il dirupo fiscale, il fiscal cliff, “forse” l’economia si scuoterà, “forse” le aziende riscopriranno che si può essere “profitable” anche senza tagliare forsennatamente posti di lavoro, “forse” riporteremo a casa tanti nostri giovani che sono a combattere in giro per il mondo, “forse” impareremo a non collezionare armi da fuoco come una volta si faceva con i francobolli, “forse” troveremo un modo per garantire un minimo di assistenza sanitaria reale a tutti, “forse” questa terra di immigrati scoprirà che l’accoglienza, e non la retorica della tolleranza, è l’unica strada verso una convivenza altrimenti impossibile, e “forse” i nuovi immigrati, come facevano quelli di una volta, vorranno veramente diventare parte integrante di questo paese. “Forse”, ma non ci sarà niente di automatico. A voler essere crudo, non “acido”, ma amaramente realista, l’unica cosa che vedo procedere senza soverchi inciampi, senza troppi “forse” è il riconoscimento dei matrimoni omosessuali. Che personalmente non registro come “progresso”.



Sembrerebbe il ritratto della vecchia Europa. Gli stessi sintomi di una malattia che attacca il cuore e mina il desiderio. L’America però è giovane, e la voglia di vivere nei giovani è prorompente. È uno slancio naturale. Si prende una bastonata, ma si riparte. Come quando ci si innamora, la storia finisce male e sembra che nulla potrà mai più accadere. Ed invece accade, perché la sete di felicità è un motore “built in”, che è costruito dentro di noi e di cui non possiamo liberarci. Occorre però che la “gioventù” diventi maturità se non vogliamo che il sogno diventi illusione.
Ognuno al suo lavoro, dunque, senza paura di questo desiderio che ci brucia addosso. Alla ricerca di Chi ce l’ha messo nel cuore.
Happy New Year, America!

Leggi anche

EUGENIO BORGNA/ Con lui non muore uno psichiatra, ma un amico del MisteroSCUOLA/ “Educare secondo don Giussani”: quando un metodo si fa storia (e opere)