Tre manifestazioni sono partire ieri nella capitale del Cairo, dirette verso il palazzo presidenziale di Mohamed Morsi. Il divieto imposto dal capo dello Stato non ha scoraggiato i giovani egiziani, che hanno sfidato i sei carri armati e i due veicoli blindati dispiegati dall’Esercito e dalla Guardia repubblicana. Ilsussidiario.net ha intervistato padre Samir Khalil Samir, gesuita e professore egiziano.
Padre Samir, Morsi è il nuovo dittatore dell’Egitto?
In Egitto abbiamo un governo islamista che ha preso il potere in modo apparentemente democratico, pur non rispecchiando la realtà del Paese. La rivoluzione del gennaio 2011 è stato un fenomeno improvvisato, sorto su iniziativa dei giovani contro il vecchio regime di Mubarak. A muoverli erano motivi sociali ed economici. Gli islamisti non c’entravano nulla con le rivolte, ma sono subentrati circa due mesi dopo. Quando Mubarak è caduto e si è trattato di formare un nuovo governo, i giovani si sono trovati ad affrontare il nuovo corso privi di qualsiasi esperienza politica. Si sono divisi in decine di piccoli partiti incapaci di conquistare il consenso. I partiti laici preesistenti alla rivoluzione sono stati esclusi con il pretesto che erano legati al vecchio regime.
Non era prevedibile che gli islamisti vincessero le elezioni?
I Fratelli musulmani erano l’unico gruppo organizzato presente sul terreno, e così hanno potuto fare propaganda ottenendo un grande successo alle elezioni politiche. Alle presidenziali però Mohamed Morsi non ha ottenuto la stessa maggioranza, in quanto altri candidati laici come Amr Moussa, Hamden Sabbahi e Abdel Fotouh hanno ottenuto una fetta significativa dei consensi. Ciò significa che in realtà chi ha fatto la rivoluzione non si sentiva rappresentato dai Fratelli musulmani. Una volta salito al potere, il presidente Morsi ha promesso che avrebbe rispettato la legge e presentato una nuova Costituzione. Quest’ultimo compito è stato affidato all’Assemblea costituente, in maggioranza islamista.
Quali sono state le conseguenze di questa scelta?
Quando si sono accorti che nella bozza della Costituzione la religione aveva un ruolo maggiore rispetto al passato, i rappresentanti dei partiti liberali e di sinistra si sono dimessi. Ciò ha accentuato ancora di più la tendenza islamista e religiosa dell’Assemblea. Dieci giorni fa quindi il presidente ha preso nelle sue mani tutti i poteri, legislativo, esecutivo e giudiziario, contro gli auspici di una forte minoranza che non lo voleva. In questo senso chi comanda oggi in Egitto non è più democratico, ma cerca di imporre la sua visione.
Intanto in Siria le violenze non si placano. Secondo lei che cosa accadrà e che cosa faranno gli Stati Uniti?
La voce che corre in Medio Oriente è che Stati Uniti e Israele intenderebbero dividere la Siria in più parti. Agli alawiti sarebbe concessa la costa fino a Homs, i curdi si unirebbero all’Iraq e la gran parte della Siria rimarrebbe in mano ai sunniti. In questo disegno i cristiani sparirebbero, in quanto non si trovano concentrati in un’unica regione ma sono sparsi in tutto il Paese e pur rappresentando il 9% della popolazione, non costituiscono né un’etnia né un blocco politico. Questa soluzione sarebbe la distruzione totale della Siria e dei cristiani che ci vivono, eppure paradossalmente è sostenuta proprio dagli Stati Uniti e soprattutto da Israele.
Per quale motivo gli Stati Uniti vogliono proporre un piano che porterà alla distruzione della Siria?
Il motivo sono i legami che intercorrono tra la Siria e l’Iran. Gli Usa prendono a pretesto il fatto che l’Iran sta cercando di costruire la bomba atomica, cosa che mi sembra una realtà. Non è però un pretesto accettabile, in quanto il primo da condannare è chi ha già la bomba atomica, in particolare nel Medio Oriente. Tutti sanno che Israele possiede gli armamenti nucleari. Il governo di Gerusalemme non lo ha mai dichiarato ufficialmente, ma diversi israeliani lo hanno rivelato e quindi oggi non è più un segreto per nessuno. Ma questo non è l’unico problema …
A che cosa si riferisce?
Mi chiedo quale fondamento abbiano le pretese nei confronti dell’Iran da parte di Israele, che non ha rispettato tutti gli accordi di pace sottoscritti in passato alla presenza degli stessi Stati Uniti, e che è l’unico Stato occupante di un territorio straniero in Medio Oriente. L’Iran non ha occupato il territorio di un Paese confinante, né in questo momento lo stanno facendo la Siria, né il Libano, né l’Iraq, né la Giordania, né l’Egitto. Israele ha quindi in Medio Oriente questa duplice singolarità, è l’unico Stato occupante ed è l’unico ad avere la bomba atomica, eppure pretende di condannare l’Iran. E’ veramente una vergogna per chi difende questa posizione e per i suoi sostenitori, e cioè l’Unione Europea e peggio di tutti gli Stati Uniti.
Mi scusi, ma che cosa c’entra tutto ciò con quanto sta avvenendo in Siria?
Quanto avviene in Siria influisce su tutto il Medio Oriente, innanzitutto per la sua posizione geografica. La Siria inoltre è governata dagli alawiti, una minoranza pari a circa il 12% della popolazione, la cui fede deriva dall’Islam sciita. Gli altri Paesi arabi sono invece tutti a maggioranza sunnita, e quindi non sopportano il regime di Damasco. Poiché Assad è sciita, è naturale che si allei con l’Iran che rappresenta una potenza in crescita e che è un Paese quasi totalmente sciita. Sappiamo che tra Iran e Siria ci sono accordi e un passaggio di armi. Ciò fa paura in primo luogo all’Arabia Saudita e agli altri Stati della Penisola arabica e in secondo luogo a Israele. La rivolta contro Assad è nata quindi inizialmente come una rivendicazione di istanze sociali ed economiche senza connotazioni confessionali, ma con il tempo si è trasformata in una lotta dei sunniti, appoggiati da Arabia Saudita e Qatar, contro gli sciiti.
E quindi?
Siamo in un impasse, non c’è soluzione e i siriani non hanno i mezzi per risolvere l’attuale crisi, a meno di compiere un massacro. Il governo, che rappresenta una minoranza, non può più cedere perché sarebbe la fine del gruppo degli alawiti. Avrebbe dovuto farlo all’inizio delle proteste, quando si era ancora sul piano di un dibattito non violento. L’opposizione d’altra parte non può più tacere, e quindi a meno di un accordo gli scontri continueranno.
(Pietro Vernizzi)