Il leader in esilio di Hamas, Khaled Meshaal, sabato ha compiuto la sua prima visita a Gaza in occasione del 25esimo anniversario dell’organizzazione politica. Meshaal non metteva piede nei territori palestinesi da quando ha lasciato la Cisgiordania nel 1967, e per l’occasione ha tenuto un discorso durante un raduno di massa. A consentirgli di entrare nella Striscia è stato l’Egitto attraverso il confine di Rafah. Il leader del partito islamista ha visitato la casa del fondatore di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin. Ilsussidiario.net ha intervistato il Custode di Terrasanta, Pierbattista Pizzaballa.



Che cosa ne pensa della visita di Meshaal a Gaza?

Non sono molto contento perché, se è vero che la situazione di Gaza è terribile, persone come Meshaal non sono certo pacifiche e non porteranno a nulla di positivo.

Il partito di Hamas governa Gaza dal 2007, ed è stato democraticamente eletto. Perché il suo leader Meshaal non dovrebbe farvi visita?



Meshaal è lo stratega degli attentati kamikaze e del terrore di qualche anno fa. Non è un politico che vuole visitare il suo Paese, ma una persona che si è macchiata di sangue.

Perché proprio adesso questa visita?

Il Medio Oriente è in profondo cambiamento. Si è appena conclusa questa lunga fase della crisi di Gaza, dove Hamas ha dichiarato la vittoria, anche se non so se le cose stiano realmente in questi termini. Si stanno ridiscutendo alleanze, legami, relazioni, si dovranno individuare strategie.

A permettere la visita di Meshaal a Gaza è l’Egitto di Morsi, che da un lato firma gli accordi con Israele e dall’altra fa dichiarazioni d’odio nei suoi confronti. Che cosa ne pensa di questa strategia?



Non c’è nulla di nuovo, il Medio Oriente è da sempre così. Da un lato c’è la necessità della propaganda e delle solite strategie mediatiche, dall’altra il senso pratico che costringe i governanti alla moderazione per trovare un approccio meno ideologico ai problemi.

Mai come ora vediamo che esistono due “Palestine”, quella di Abu Mazen che va all’Onu e quella di Hamas che lancia i missili. Lei che cosa ne pensa di questi due volti così diversi dello stesso popolo?

Ritengo che si tratti di due volti difficilmente ricongiungibili e riconducibili a una riconciliazione. Non si tratta solo di due politiche diverse, ma sono due visioni differenti della vita, della società, delle prospettive, del rapporto con Israele.

 

Com’è la situazione dei cristiani che vivono in Palestina e nel territorio dello Stato di Israele?

 

I cristiani non sono un terzo popolo. Sono palestinesi come tutti gli altri e vivono questa situazione come tutti gli altri palestinesi.

 

Anche a Gaza si sentono come tutti gli altri palestinesi, o sono emarginati?

 

Entrambe le cose. Per comprendere il Medio Oriente bisogna rendersi conto del fatto che non è mai un aut aut, per esempio tra integrazione ed emarginazione. Per i cristiani che vivono a Gaza ci sono elementi di separazione, di distinzione o se si vuole di discriminazione da parte della maggioranza islamica, ma ci sono anche tanti musulmani con i quali si va molto d’accordo. Sono le solite situazioni ambigue della regione mediorientale. Non c’è però alcun dubbio sul fatto che a Gaza la situazione sia molto più difficile rispetto alla Cisgiordania.

 

I cristiani dove si integrano meglio, in Israele o in Cisgiordania?

 

I cristiani in Israele stanno bene. Ci sono forme di disuguaglianza da parte della maggioranza ebraica nei confronti della minoranza araba, ma non c’è alcun confronto con la situazione degli altri Paesi arabi come l’Egitto. Anche in Cisgiordania del resto l’Autorità Palestinese ha ottime relazioni con le Chiese e c’è un grande rispetto nei confronti della comunità cristiana. C’è però una situazione politica ed economica più difficile, mentre dal punto di vista delle condizioni materiali la vita dei cristiani in Israele è di gran lunga migliore.

 

Lei che cosa ne pensa della posizione divisa dell’Europa nei confronti della Palestina?

 

E’ sempre stato così, non è nulla di nuovo. Il Medio Oriente e Israele hanno rapporti molto importanti con gli Stati Uniti e con l’Europa, ma quest’ultima è sempre divisa e politicamente abbastanza irrilevante per quanto avviene nel mondo arabo.

 

(Pietro Vernizzi)