Dopo Damasco le autobomba colpiscono anche Aleppo falciando 28 vite e alimentando un’ondata di odio senza fine. Forte del veto di Russia e Cina all’Onu, l’esercito di Bashar Assad da giorni bombarda la popolazione civile a Homs, al punto che la situazione siriana sembra essersi infilata in un vicolo cieco senza vie d’uscita. A metà dicembre un altro attentato a Damasco aveva provocato 44 morti, seguito il 6 gennaio da una seconda strage. Ilsussidiario.net ha intervistato Camille Eid, cristiano libanese, giornalista di Avvenire e professore dell’Università Cattolica di Milano. Per l’esperto, “la caduta di Assad presto o tardi è inevitabile, ma più a lungo durerà il suo regime e maggiori sono i rischi di una guerra confessionale. La comunità internazionale deve quindi intervenire per trovare un compromesso ed evitare che la situazione degeneri ulteriormente”.



Diversi osservatori di recente hanno puntato il dito contro gli errori dell’Occidente in Siria. Fino a che punto c’è il rischio questi ultimi portino alla vittoria di Assad?

Una vittoria di Assad è impensabile, sarebbe contraria alla storia: prima o poi Assad dovrà cadere. La durata del suo regime potrebbe essere anche questione di mesi, non oso dire di anni perché sarebbe veramente spaventoso. La Siria ha sempre approfittato della sua posizione geo-strategica in Medio Oriente, giocando sulla carta libanese, sulla vicinanza dell’Iraq, sulla sua alleanza con l’Iran e anche sulla titubanza del Consiglio di sicurezza dell’Onu. Gli scenari sono aperti a tutti gli sviluppi. In breve gli Stati arabi riconosceranno l’opposizione siriana, e questo sarà un brutto colpo per il regime. Venerdì ha parlato il Re saudita Abdallah, annunciando che presenterà all’Onu un testo contro l’attuale regime per denunciare quanto sta avvenendo. Manovrando su Libano e Iraq, il regime di Assad può restare ancora avvinghiato per un po’ al potere, mietendo nuove vittime, ma il cammino della storia è ormai tracciato.



Quanto è rilevante il rischio che la Siria, a differenza dell’Egitto, finisca nell’orbita di dittature teocratiche come l’Arabia Saudita e il Qatar?

Innanzitutto, in Egitto il voto è stato democratico, ma l’esito ha portato alla vittoria degli islamisti. Egitto e Tunisia hanno però grossomodo una società monocolore, mentre la Siria è un groviglio di etnie, religioni, confessioni, e un voto democratico richiede quindi che a partecipare siano tutte le componenti della società. Il pericolo della crisi siriana è la polarizzazione tra sunniti e alawiti, e il regime ha tutto l’interesse a rappresentare quanto sta avvenendo come un conflitto confessionale. In realtà tra i ribelli militano anche degli alawiti (la minoranza sciita cui appartiene lo stesso Assad, Ndr). L’opposizione ha una buona componente legata ai Fratelli musulmani, ma il vero motivo è che questi ultimi sono meglio organizzati di altre formazioni politiche. La sfida per l’opposizione è quella di mantenere compatta questa unione tra cristiani, drusi, alawiti, ismaeliti e sunniti, per presentare un nuovo volto della Siria diverso da quello attuale. E’ probabile che dopo la caduta di Assad ci sarà una fase di transizione nella quale gli islamisti saliranno al potere, ma quale che sia il futuro della Siria, dell’Egitto e degli altri Paesi arabi, sarà comunque migliore rispetto ai regimi precedenti.



 

Come lei ha accennato, il Consiglio Nazionale Siriano è in larga parte nelle mani dei Fratelli musulmani. Fino a che punto può costituire un partner affidabile per l’Occidente?

 

I Fratelli musulmani rappresentano una buona componente del Consiglio Nazionale Siriano, ma non lo controllano completamente, tanto è vero che il presidente Burhan Ghalioun non è un islamista. Sarebbe innaturale se i partiti islamisti non salissero al potere nei Paesi della Primavera araba, perché rappresentano la forza più organizzata. Siccome i popoli arabi hanno sperimentato socialismo, nazionalismo e diverse altre ideologie, l’unica componente che non hanno ancora messo alla prova è quella dei Fratelli musulmani. C’è una tendenza da parte degli arabi a dire: “Perché non provare anche questa carta?”. L’importante è che non monopolizzino a loro volta il potere trasformandolo in un’altra forma di dittatura, ma lascino spazio a tutti i partiti in modo che negli anni a venire si possa giungere a un Paese liberale e democratico. Il cammino è lungo, ma è anche colpa di una dittatura durata più di 40 anni che si è trasformata addirittura in una repubblica ereditaria. Il regime di Assad va spazzato via al più presto, e quale che sia il regime che subentrerà sarà più facile da rimuovere di quello attuale.

 

Quello di Aleppo è stato il terzo grave attentato in Siria dall’inizio della rivolta. Chi c’è veramente dietro alle autobomba?

E’ possibile che in Siria siano presenti alcuni elementi a favore di Al Qaeda, penetrati dall’Iraq. Ma potrebbero essere stati anche degli elementi dei servizi segreti che sfuggono al controllo di Assad, per distogliere l’attenzione dai bombardamenti contro i civili a Homs. Dietro gli attentati ci potrebbero essere degli elementi contrari al regime, disposti a ricorrere ai kamikaze, e che non obbediscono né al Consiglio Nazionale Siriano né all’Esercito Siriano Libero. La guerra civile siriana non è portata avanti soltanto da due forze che si fronteggiano tra loro, ma da una molteplicità di elementi in gioco. Di recente sono stato in Libano, e un militare cristiano fuoriuscito dalla Siria mi ha mostrato il video di alcuni salafiti che uccidevano un soldato al grido di “Allah Akbar”.

 

Secondo lei a chi rispondevano questi elementi?

 

Questi elementi ben difficilmente potevano essere agli ordini del Consiglio Nazionale Siriano. Le atrocità avvengono quindi da una parte e dall’altra, e sono in grado di trasformare il massacro in guerra civile, spingendo la popolazione a vendicare questi fatti, in modo che a ciascuna atrocità si risponda con un’altra atrocità. Non è questo ciò che vogliono i democratici siriani, ma più il regime si arrocca sulle sue posizioni, e più il conflitto diventa ogni giorno più violento. Più a lungo dureranno gli scontri, più diventeranno una guerra confessionale ripercuotendosi su Libano e Iraq. Il pericolo è reale, quindi il compito della comunità internazionale è quello di intervenire in tempo per trovare un compromesso. Il problema che si pone è quello di come intervenire, ma non è possibile lasciare che le cose vadano avanti così con decine e decine di morti ogni giorno.

 

(Pietro Vernizzi)