“I Fratelli musulmani chiedono che la comunità internazionale intervenga in Siria fornendo armi ai ribelli e sostenendoli con pressioni e prese di posizione contro il regime di Bashar Assad. Siamo invece contrari a una rivolta armata della popolazione civile, che sarebbe una sorta di suicidio, perché l’esercito regolare del presidente è ancora nettamente più forte delle forze della rivoluzione”. Lo dichiara Abdel Fattah, esponente dei Fratelli musulmani egiziani, intervistato sulla situazione in Siria. I Fratelli musulmani di Giordania domenica hanno invitato alla Jihad, termine che sta a indicare la guerra santa dei musulmani, contro il governo siriano di Assad, aggiungendo che sarebbe un “dovere islamico”. Il leader dei Fratelli musulmani di Giordania, Hammam Said, domenica aveva commentato: “L’Esercito libero siriano deve proseguire la difesa della nazione contro i crimini del regime. La Jihad contro Assad è un dovere islamico”. Per il professor Fattah però con la parola “Jihad” si intende un invito all’opposizione pacifica, perché le forze in campo sono al momento ancora sproporzionate e Assad controlla buona parte dell’Esercito. Una rivolta armata quindi è ancora troppo rischiosa, mentre è indispensabile che la comunità internazionale intervenga, senza però inviare truppe Nato in Siria.



Professor Fattah, qual è il significato della Jihad invocata dai Fratelli musulmani contro il presidente Assad?

Quando si parla di Jihad o “guerra santa”, noi la intendiamo nel senso generale della parola. Non vuol dire prendere le armi e andare contro un regime totalitario. In Egitto abbiamo abbattuto il regime di Mubarak con una rivoluzione pacifica in piazza Tahrir, senza quindi spargere sangue. Il nostro obiettivo è quello di creare una Jihad con il pensiero e la parola, nelle pressioni internazionali, con le sanzioni economiche da parte dei Paesi arabi e di tutto il mondo. Ciò che intendiamo quindi è che è necessario esercitare pressioni contro il regime di Assad, e non invece creare confusione e caos coinvolgendo la popolazione siriana nella rivolta armata. Noi siamo contro l’ampliarsi dello spargimento di sangue che ciò comporterebbe necessariamente.



I Fratelli musulmani in Siria sono quindi contrari a una rivoluzione militare?

Se avessimo le armi sufficienti, come è avvenuto in Libia, non saremmo contrari. La situazione in Libia era differente, gli eserciti erano divisi in due parti quasi uguali. La maggior parte della popolazione era inoltre con le truppe filo-rivoluzionarie. Il bilancio era dunque a favore del popolo libico, mentre ora purtroppo la maggior parte dell’esercito siriano sostiene Bashar Assad. La forza della rivoluzione non è quindi ancora sufficientemente forte per contrastare le truppe dell’esercito siriano. Se la società internazionale compie però in Siria quanto ha fatto in Libia, fornendo ai rivoluzionari le armi sufficienti come in Libia, questa può essere una soluzione adeguata e in grado di cambiare il bilancio del conflitto. Per ora però le truppe regolari siriane sono meglio equipaggiate di quelle dei ribelli. Se la comunità internazionale si assume la responsabilità di un appoggio alla rivoluzione, questo può essere un punto decisivo nella crisi siriana. Prima di allora, un invito alla resistenza armata non può essere che un suicidio per la disparità delle forze in campo. E’ questo a rendere la situazione in Siria diversa dalla Libia.



 

Come valuta l’operato della comunità internazionale in Siria?

 

La comunità internazionale in Siria non ha fatto il suo dovere: sta assistendo allo spargimento di sangue senza muovere un dito. Contro Gheddafi al contrario si era mobilitata in modo completamente diverso, e per questo motivo la crisi libica è durata molto meno a lungo di quella siriana.

 

E’ d’accordo con la Lega araba, che ha chiesto l’intervento dei caschi blu dell’Onu in Siria?

No, non sono d’accordo, soprattutto se si tratta di truppe dei Paesi Nato. Ma ritengo che fornendo armi sofisticate ai rivoluzionari, è possibile aumentare la loro capacità di contrastare le truppe dell’Esercito di Assad. E man mano i militari e gli stessi ufficiali entreranno a fare parte delle file dei rivoluzionari. Questo costringerebbe Assad quantomeno a fare come l’ex presidente dello Yemen, Saleh, che ha dovuto accettare la tregua e un compromesso con i rivoltosi.

 

I Fratelli musulmani rappresentano la componente maggioritaria dei ribelli siriani, o sono solo una delle tante fazioni sul campo?

 

In Siria, come in Libano e in Giordania, i Fratelli musulmani sono soltanto una delle componenti della popolazione. E’ sbagliato quindi affermare che tutti i ribelli contro Assad facciano parte del nostro movimento. La maggioranza dei rivoltosi è gente afflitta dalla fame, dalla miseria e dalle ingiustizie, e che quindi si è sollevata contro Bashar Assad. I Fratelli musulmani sono una parte del tessuto sociale del popolo siriano, che è composto da sunniti, sciiti e cristiani, scesi in piazza insieme contro il regime del presidente.

 

Dopo la caduta di Assad, quanto è elevato il rischio che in Siria si crei una guerra confessionale?

 

Lo abbiamo visto in Egitto dopo la rivoluzione. Le tensioni tra musulmani e cristiani non sono mancate, ma a seminare le discordie era stato il regime di Mubarak e dopo la rivoluzione oggi siamo uniti e lo saremo fino alla fine. E’ lo stesso che accadrà anche in Siria se cadrà il regime totalitario di Assad. Tutto il popolo vivrà un’unità nazionale senza precedenti, costruendo insieme il futuro del loro Paese, con una convivenza totale tra cristiani e musulmani.

 

(Pietro Vernizzi)