Bashar al-Assad, in extremis, gioca la strategia del contentino. Non vuol fare la fine di Gheddafi e ha capito che, probabilmente, l’estenuante braccio di ferro con la popolazione si rivelerà per lui, alla fine, esiziale. Tutta la comunità internazionale, salvo Cina e Russia che hanno posto il veto alla risoluzioni Onu contro la Siria, ma la cui posizione si sta via via ammorbidendo, gli sono contro. Per questo, ha lanciato la proposta di un referendum per chiamare i cittadini, il prossimo 26 febbraio, a esprimersi su una nuova costituzione. Troppo tardi. Una nuova carta fondamentale era quanto gli oppositori del regime avevano chiesto mesi or sono, quando ebbero inizio le proposte soffocate sin da subito nel sangue. Al popolo che chiedeva maggiori libertà di espressione, il tiranno aveva replicato innescando una spirale di violenze che persiste tutt’ora, tanto da convincere la stessa Lega Araba a chiedere all’Onu di non escludere un intervento militare. I nuovo testo, in ogni caso, sarebbe diviso in sei parti e consterebbe di 157 articoli. A far da sfondo, la libertà individuale riconosciuta come diritto sacro. Tra i principi che il documento introdurrebbe, vi è anche quello del pluralismo politico, attraverso l’esercizio del voto democratico. La Costituzione si baserebbe sulla sharia, mentre l’islam continuerebbe a essere la religione di stato, anche se si introdurrebbe la tutela delle altre religioni. Il presidente, tuttavia, dovrebbe essere islamico e il suo mandato settennale rinnovabile una sola vota. A conti fatti, Assad potrebbe stare tranquillamente al potere ancora 12 anni. Ma niente di tutto questo si avvererà, con ogni probabilità, sotto la sua guida. Anche l’America rigetta la proposta al mittente. Jay Carney,il portavoce della Casa Bianca, conversando con i cronisti a bordo dell’Air Force One che sta conducendo Obama in Wisconsin per una tappa elettorale, ha sentenziato: «Questo è farsi beffa della rivoluzione siriana». Carney ha, inoltre, ricordato che Assad non è la prima volta che fa promesse del genere. Ogni volta, il risultato è stato l’acuirsi delle violenze.
Non a caso, oggi sono proseguiti i bombardamenti ad Homs, tra le città simbolo della ribellione, dove nei giori scorsi hanno fatto irruzione i carri armati e i soldati hanno proceduto a rastrellamenti casa per casa. Oggi, nel quartiere di Bab Amro, già distrutto dai bombardamenti, le forze governative hanno colpito un oleodotto.