Svolta decisiva nelle relazioni che intercorrono tra la Siria e la Comunità internazionale. Dopo la decisione dell’Onu di ieri sera, il regime di Assad è sempre più isolato. Ieri, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato a New York una risoluzione che condanna Damasco. Il documento, varato con una larga maggioranza di 138 voti favorevoli, 12 contrai e 17 astenuti, denuncia la repressione contro i manifestanti e la popolazione civile che le forze militari hanno scagliati in questi mesi per sedare la rivolta, mentre lo stesso segretario generale dell’Onu, Bn Ki-moon non esita ormai a definirli crimini contro l’umanità. Non si tratta, è bene sottolinearlo, di una risoluzione del Consiglio di sicurezza, che avrebbe un potere vincolante a aprirebbe all’ipotesi di un intervento armato, ma comunque di un atto dall’altissimo valore simbolico. Le trattative per varare un documento dell’organismo supremo sono ancora in alto mare. Per due volte Cina  e Russia, i principali sponsor della Siria, hanno, infatti, posto il veto da una risoluzione di condanna, così come figurano tra coloro che si sono opposti al quanto deciso ieri su proposta dell’Egitto, che rappresentava i paesi arabi. Anche Nord Corea, Iran, Venezuela e Cuba hanno votato contro. Si continua, intanto, a ragionare circa la possibilità di giungere ad un intervento ancor più concreto e vincolante. Alain Juppé, ministro degli Esteri francese, ha incontrato a Vienna il suo omologo russo, Sergei Lavrov, per cercare un intesa che non veda il veto russo. La Francia lavora, in particolare sull’ipotesi di una missione che preveda dei cosiddetti corridoi umanitari per consentire alla popolazione civile di essere tratta in salvo, anche se che si trova sul campo definisce l’ipotesi irrealizzabile. La Turchia sembra che abbia in mente di aprire canali di questo genere via mare. Pochi giorni, intanto, Assad aveva annunciato, per il 26 febbraio, un referendum su una nuova costituzione, definito dagli Americani risibile, in quanto si tratta del palese tentativo del dittatore di uscire da un impasse che ogni giorno lo avvicina alla fine di Gheddafi.



E mentre Assad definisce sostenitori del terrorismo chiunque si opporrà al referendum, il suo esercito ha ampliato le maglie della repressione. Oltre ad Homs son ostate bombardate Hama e Idlib e la regione meridionale di Daraa. Oggi, inoltre, sono stati messi in carcere 14 tra attivisti per i diritti umani, giornalisti e blogger, mentre sono stati uccisi 63 civili. 

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