“Quello di Port Said è stato un massacro annunciato. Per un match così delicato, erano presenti solo pochi agenti che hanno fatto entrare teppisti armati di coltelli e consentito che la situazione degenerasse. La polizia ha assistito immobile alla carneficina e ha lasciato i cancelli sbarrati per impedire ai tifosi dell’Ahly di mettersi al riparo”. E’ la denuncia di Islam Gobarah, portavoce di al-Wafd, uno dei più antichi e influenti partiti politici dello schieramento liberale egiziano. Il sussidiario.net lo ha intervistato sugli scontri avvenuti nel corso della partita tra al-Masri e al-Ahly, che ha portato alla morte di 75 tifosi. Per Gobarah, “la strage non è stata causata da semplici motivi calcistici, ma è la punta dell’iceberg di quanto sta avvenendo da un anno in Egitto. La polizia con una mano interviene per sopprimere e uccidere i manifestanti, e con l’altra cerca di creare uno stato di caos e di insicurezza per provocare il panico tra i cittadini”.
Gobarah, come valuta l’operato della polizia durante gli scontri di Port Said?
E’ stato evidente fin dall’inizio lo scarso numero di agenti cui era stato affidato il compito di sorvegliare la partita. E questo nonostante la polizia sapesse bene l’importanza e la delicatezza dell’incontro, soprattutto per la frequenza con cui in passato si erano verificati tafferugli tra le due tifoserie. Mercoledì gli scontri non sono stati affrontati con sufficiente serietà, e questo ha portato ad aspre critiche nei confronti delle forze dell’ordine che sono state accusate di complicità. Con rabbia e sorpresa, abbiamo assistito in tv agli agenti di polizia che sedevano comodamente sugli spalti, nonostante l’elevato numero di invasioni di campo durante la partita, soprattutto in occasione dei quattro gol. Le forze dell’ordine avrebbero dovuto intervenire subito, bloccandole sul nascere perché erano dei tafferugli incipienti. Al contrario, gli agenti non si sono mossi per fermare gli omicidi di massa messi in atto da gruppi sovversivi. Mentre i tifosi dell’Al Ahly erano aggrediti, la polizia si limitava a guardare. Fatto ancor peggiore, la polizia ha lasciato i cancelli sbarrati per facilitare il compito ai teppisti che volevano massacrare le tifoserie avversarie.
Che cosa ne pensa delle polemiche sollevate da molti dei calciatori dell’Ahly?
Dopo quanto è avvenuto i calciatori più famosi hanno annunciato che si rifiutano di continuare a giocare, in quanto i loro tifosi sono stati uccisi sotto i loro occhi, ed essi stessi hanno visto la morte in faccia. Non stupiscono quindi le dichiarazioni di Abu Trika, campione dell’Ahly, che si è lamentato per l’allentamento della sorveglianza da parte delle forze dell’ordine. Queste ultime si ritrovano oggi a essere particolarmente vulnerabili in seguito alla rivoluzione del 25 gennaio, che ha portato a un deterioramento dei rapporti tra la polizia e la gente comune.
Abbiamo visto le foto di persone armate di coltelli nello stadio. Come è possibile che nessuno li abbia fermati?
Potrei rispondere che si è trattato di una scelta discutibile, se non fosse che sono convinto che esista un progetto per creare sistematicamente il caos nel Paese. Non è un caso che i fatti di Port Said siano avvenuti nel primo anniversario della “Battaglia dei Cammelli”, nel corso della quale centinaia di manifestanti di piazza Tahrir sono morti. L’obiettivo è contrastare la rivoluzione e farla fallire, inculcando nei cittadini il sentimento che quest’ultima sia la causa principale del caos e dell’illegalità che sta devastando il Paese. La complicità della polizia è quindi evidente, e lo stesso vale per i sostenitori del passato regime che collaborano con i teppisti armati.
Quindi la tragedia di Port Said non rappresenta un fatto isolato?
La verità è che l’Egitto soffre di una mancanza di sicurezza e di una debolezza croniche, che durano dalla rivoluzione del gennaio 2011. E’ il problema più grave che sta affrontando il Paese, e che ha avuto il suo momento rivelatore nella decisione dell’ex ministro degli Interni di ritirare tutte le forze di polizia dalle strade a partire dal 28 gennaio di un anno fa. La polizia quindi con una mano interviene per sopprimere e uccidere i manifestanti, e con l’altra cerca di creare uno stato di caos e di insicurezza, per provocare il panico tra i cittadini e distrarre l’attenzione dalla rivoluzione in corso. Non dimentichiamoci che il passato regime a un certo punto aprì le porte delle prigioni consentendo la fuga di numerosi criminali, che si misero a compiere rapine e omicidi contro cittadini innocenti. La responsabilità quindi è in parte del sistema politico precedente, e in parte del Consiglio Militare che ha fallito nel suo compito di rimettere in piedi le forze dell’ordine e ristabilire la fiducia reciproca tra la gente e la polizia.
Dietro a quanto è avvenuto a Port Said c’è un intento politico?
Certamente non è stata una strage causata da semplici motivi calcistici, ma da un intento politico. Gettare il Paese in uno stato di caos è un modo per fare sì che la sopravvivenza della giunta militare sia percepita come una valvola di sicurezza, in grado di consentire il completamento del processo democratico. L’obiettivo dell’Esercito è restare al potere fino alle elezioni presidenziali di giugno, in modo da evitare di dover rispondere dei gravi eventi che si sono verificati durante l’attuale fase di transizione.
Qual è invece il ruolo dei sostenitori del passato regime?
I sostenitori del passato regime approfittano di questi fatti per macchiare l’immagine della rivoluzione e incolparla dell’attuale confusione. La sensazione è che si sia trattato di una resa dei conti, perché i tifosi dell’Ahly avevano partecipato attivamente alla rivoluzione, e che i 75 morti e le centinaia di feriti siano il risultato di un atto di vendetta.
Dunque lei è d’accordo con i Fratelli Musulmani, secondo cui a pianificare il massacro di Port Said sarebbero stati i sostenitori di Mubarak?
E’ così, tuttavia la domanda che si impone ora è perché si sia permesso che il Consiglio Militare restasse al governo, consentendogli di usare in modo distorto denaro e armi per danneggiare il Paese e far fallire la rivoluzione. C’è una precisa responsabilità dei militari, che non prendono serie iniziative per fermare i continui spargimenti di sangue. Concordo con l’accusa dei Fratelli Musulmani, perché i sostenitori del passato regime hanno ancora il potere finanziario e organizzativo per minacciare la sicurezza nazionale e cercare di far fallire la rivoluzione. Ma sono gli stessi Fratelli Musulmani a non lasciare che vengano individuati e processati, così da evitare che questi tragici fatti si ripetano.
Dopo quanto successo a Port Said, ritiene che il ministro dell’Interno Mohammed Ibrahim debba dimettersi?
Il ministro Ibrahim deve dimettersi e occorre aprire subito un’inchiesta sugli avvenimenti di Port Said, in particolare sulle responsabilità della polizia.
Eppure secondo molti il Consiglio Militare ha salvato l’Egitto dalla guerra civile …
La lentezza e la goffaggine dei militari nel gestire il Paese in questo periodo di transizione ha avuto un impatto del tutto negativo sulla sicurezza e l’economia. Il permanere al potere della giunta militare non può che aggravare la situazione. È ormai diventata evidente la incapacità del Consiglio Militare nell’affrontare questioni spinose, come il ripristino della sicurezza, i processi al passato regime e il recupero dei fondi esportati illegalmente. Ciò ha fornito l’impressione che i militari non stiano dalla parte della rivoluzione, ma che seguano interessi propri nella gestione del Paese, dando luogo a una perdita di fiducia nei loro confronti da parte dei giovani protagonisti della rivoluzione, soprattutto dopo i recenti avvenimenti che hanno provocato la morte di decine di giovani egiziani. Gli egiziani si stanno chiedendo quando finiranno questi crimini contro il nostro popolo e la sicurezza potrà tornare nelle nostre strade. La verità è che una grande parte della popolazione sopporta le conseguenze della incapacità del Consiglio Militare nell’affrontare i problemi dell’Egitto rallentandone la soluzione.
(Pietro Vernizzi)