«Quella di un eventuale attacco israeliano è un’ipotesi di cui ormai si parla da almeno cinque anni, cioè da quando si è capito che Teheran poteva cotruire la bomba atomica. La cosa che fa la differenza oggi e che preoccupa soprattutto il segretario alla Difesa americano Leon Panetta è il fatto che Israele ha rinunciato a partecipare ad una esercitazione congiunta con gli americani prevista per il maggio prossimo. Visto che difficilmente Israele rinuncia a partecipare ad esercitazioni militari, Panetta ne ha dedotto che quello potrebbe essere il momento deciso da Israele per attaccare i siti nucleari iraniani». Il giornalista Gian Micalessin, corrispondente dalle zone di guerra, commenta in questa intervista per IlSussidiario.net l’eventualità di un possibile attacco israeliano nei confronti dell’Iran per ritardare il programma atomico. Questa ipotesi sta preoccupando non poco il presidente Obama, che nel caso di un attacco sarebbe chiamato a prendere delicate decisioni proprio nel mezzo di una difficilissima campagna elettorale.



Perché Israele avrebbe dovuto scegliere proprio il periodo di maggio?

Perché scatterebbe quella “linea rossa” oltre la quale gli israeliani considerano l’Iran nella cosiddetta “zona di immunità”. In quel momento si concluderà infatti il trasferimento dei laboratori in cui avviene l’arricchimento dell’uranio utile alla costruzione della bomba atomica: i bunker designati ad ospitare i laboratori nucleari iraniani sono stati scavati nel cuore delle montagne e sono difesi da una roccia spessa circa novanta metri, che nessuna bomba convenzionale può distruggere. Da quel momento in poi, quindi, avvenuto questo trasloco, l’Iran avrà messo al sicuro i propri laboratori nucleari e Israele non sarà più in grado di colpire. Proprio per questo gli americani sono preoccupati per un attacco che scatterebbe a maggio di quest’anno, nel bel mezzo della campagna elettorale statunitense.   



Un eventuale attacco risulterebbe davvero utile a ritardare il programma atomico iraniano?

Tutti i vari laboratori iraniani non sono concentrati in un solo posto, ma sono sparsi in diversi luoghi, e resterebbero così anche in caso di un attacco israeliano, che probabilmente non avrebbe la capacità di distruggere tutti i siti nucleari iraniani. L’attacco israeliano, che si concluderebbe dopo quattro, cinque giorni fino all’intervento dell’Onu, potrebbe essere seguito da una tregua armata da concludere con un nuovo attacco negli anni successivi nel caso in cui l’Iran torni a costruire la bomba atomica. Un attacco israeliano quindi potrebbe certamente ritardare di qualche anno i piani dell’Iran.



Quali sono invece le possibili ritorsioni da parte dell’Iran in caso di un attacco?

Le possibili ritorsioni riguardano tutte le basi americane sparse nelle zone intorno all’Iran, quindi si tratta di una trentina di basi in Qatar, in Kuwait, nell’Oman e così via in tutti i Paesi che circondano l’Iran, dove gli americani hanno basi militari che sono facilmente colpibili con i missili iraniani.

A proposito della posizione degli Stati Uniti, quanto può risultare difficile per il Pentagono separare la propria posizione da quella dell’alleato israeliano?

Questa è il grande quesito a cui difficilmente gli americani potrebbero rispondere in caso di un attacco israeliano, perché in quel caso sarebbe l’Iran a decidere se vuole coinvolgere gli americani e scatenare una guerra regionale di altissime proporzioni, oppure limitarsi a rappresaglie contro Israele. La palla è quindi nelle mani dell’Iran, e allora sono comprensibili le paure e le preoccupazioni degli Stati Uniti, costretti a far fronte a questa situazione nel mezzo di una delicatissima campagna elettorale.

Secondo lei, in caso di attacco, gli Stati Uniti potrebbero davvero rimanere a guardare?

A quel punto il discorso dell’eventuale rappresaglia si sposterebbe sul piano della politica e su quello dell’influenza delle varie lobby israeliane che negli Stati Uniti sono potentissime, senza dimenticare anche la vicinanza dell’opinione pubblica americana nei confronti di Israele. E’ chiaro che una rappresaglia prolungata dell’Iran, di Hezbollah, di Hamas contro le città israeliane potrebbe innescare anche una successiva reazione americana.

Israele invece quanto teme la risposta degli ayatollah?

Israele sa che deve in ogni caso fare i conti con gli ayatollah già da molti anni, ed è chiaro che questa volta, se deciderà di colpire, sarà ancora più preparata che nel 2006. Inoltre, con ogni probabilità, l’attacco all’Iran sarà portato in contemporanea con un altro attacco devastante contro i principali siti missilistici in Libano.

In caso di un attacco, quali potrebbero essere invece i rischi per l’Italia?

Gli italiani sono certamente coinvolti. Anche oggi la guida suprema Ayatollah Ali Khamenei ha detto che l’Iran è pronto a colpire non solo chi li attaccherà militarmente quindi l’Italia, essendo alleata degli Stati Uniti, rientra nei possibili obiettivi dell’Iran ma soprattutto negli obiettivi di una rappresaglia che punta contro l’Afghanistan, dove ci sono le nostre basi condivise con gli americani.

 

(Claudio Perlini)