«Episodi di questo tipo possono certamente capitare. Basti pensare a quanto accaduto nel 2009, quando un maggiore americano, peraltro psichiatra, ha aperto il fuoco nella base militare di Fort Hood, in Texas, uccidendo 12 persone e ferendone più del doppio. Si scoprì successivamente che il militare era in contatto con elementi legati ad Al Qaeda, mentre in questo recente caso credo che si sia semplicemente trattato di una persona mentalmente instabile». IlSussidiario.net ha contattato Carlo Jean, ex generale ed esperto di strategia militare, per commentare la recente strage di civili afgani commessa da un soldato americano. Le vittime sarebbero 16, tra cui anche donne e bambini, mentre alla base del gesto ci sarebbe un esaurimento nervoso, un raptus incontrollato che ha portato il militare americano a sparare all’impazzata nei villaggi di Alokozai e Garrambai, nel distretto di Panjwayi, in Afghanistan.
Quali potrebbero essere a suo giudizio le principali cause di un simile gesto?
Nonostante i tanti controlli che vengono effettuati e pur sapendo che nell’esercito americano l’aspetto psicologico dei militari viene analizzato con cura, non è possibile pensare di fare uno screening completo di ogni devianza psicologica dei soldati. Non penso che sia stata la situazione a farlo impazzire, ma piuttosto credo che fossero già presenti diversi disturbi mentali. L’ambiente di guerra può al massimo deprimere e causare diversi disturbi psichici, ma non portare a istinti omicidi di questo genere.
Secondo lei gli americani hanno comunque un diverso atteggiamento nei confronti della popolazione locale?
Gli americani hanno un sistema sociale e culturale molto differente da quello degli altri Paesi, quindi anche i valori sono differenti. Hanno inoltre una cultura che si basa spesso sull’impiego della forza, differente invece dalla “soft power” degli europei. Questi ultimi, però, per essere difesi hanno bisogno dell’aggressività degli americani.
Quindi dice che questi due differenti atteggiamenti in qualche modo sono complementari?
Gli europei predicano democrazia e rispetto dei diritti umani, pensando di risolvere ogni problema geopolitico del mondo con queste affermazioni di principio, che però spesso si rivelano insufficienti in un mondo in cui stanno ritornando la guerra e la violenza. E’ stato Robert Kagan a teorizzare il “Marte americano” e la “Venere europea”, certo esagerando, perché qualche popolazione europea come quella scandinava, svedese, danese ma anche inglese e in parte francese impiega la forza senza farselo ripetere due volte.
Cosa pensa delle possibili conseguenze di un simile gesto? L’ambasciata statunitense a Kabul ha avvertito che rappresaglie anti-americane sono possibili in seguito alla strage. Inoltre, questo episodio si è verificato poche settimane dopo la vicenda dei corani bruciati da altri militari americani.
Certamente questo episodio non aiuterà a rasserenare gli animi e a far sì che gli americani possano ritirarsi tranquillamente dall’Afghanistan, e certamente una strage del genere provocherà delle reazioni.
Di che tipo?
Quando accade un simile episodio, anche in base alla “legge del taglione” della mentalità araba, tutti gli occidentali diventano responsabili e, di conseguenza, anche obiettivi da colpire. Possiamo quindi aspettarci diversi attacchi come autobombe, atti di terrorismo e azioni contro le organizzazioni non governative e i vari cooperanti, vale a dire una serie di rappresaglie che è già in atto in Afghanistan. Spero davvero che le truppe italiane non vengano prese di mira e che il nostro contingente non subisca le conseguenze di un’azione fatta da uno squilibrato.
Come mai gli italiani risultano più tolleranti nei confronti delle popolazioni del luogo?
La nostra linea è quella di cercare di evitare gli scontri, facendo rastrellamenti e restando nelle aree più tranquille, facendo un minore uso della forza. Bisogna però sottolineare che, pur essendo meno guerriglieri e aggressivi di altri Paesi, in operazioni di questo tipo mirate a una stabilizzazione, abbiamo senza dubbio un rendimento superiore.
(Claudio Perlini)