Il destino di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone è ancora in balìa dell’incertezza. I due marò, arrestati dalle autorità indiane il 19 febbraio, con l’accusa di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati, sono ancora nel carcere di Poojappura. Nonostante il nostro governo abbia ripetutamente chiesto un trattamento adeguato al loro status di soldati; e, quindi, una detenzione in un luogo diverso dal carcere e in zone separate dai delinquenti comuni. Intanto, il sottosegretario agli Esteri, Staffan de Mistura, che sta seguendo la vicenda assieme allo stesso presidente del Consiglio Mario Monti e al capo della Farnesina, Giulio Terzi, ha fatto sapere di aver ricevuto in tal senso qualche assicurazione. Anche se tutto è rimandato a dopo le elezioni locali, che si terranno il 17 marzo. Resta il fatto che, se non ci avessimo messo del nostro, la situazione sarebbe, forse, un po’ meno ingarbugliata. Angela Del Vecchio, docente di diritto dell’Unione europea nell’Università Luiss di Roma, ci spiega perché.



Che idea si è fatta?

Tutti i problemi successivi sono discesi da un’errata impostazione iniziale.

Cosa intende?

Il fatto è avvenuto in acque internazionali. In tal caso, quindi, avrebbe dovuto vigere l’applicazione delle norme dello Stato di cui la nave batte bandiera. Ma il comandante o l’armatore – o chi per loro – ha dato l’ordine di abbandonare le acque internazionali per entrare in quelle indiane. Questo è stato il primo grande errore.



Quindi, ce ne sono stati altri?

Sì. Il secondo l’ha compiuto il comandante; disponeva, sulla nave, dei più ampi poteri e della più grandi responsabilità e non avrebbe mai dovuto consentire alle autorità di polizia di salire e prendere in consegna i due marò.

Concretamente, si sarebbe potuto opporre?

Certamente. Se esistono le norme del diritto internazionale vanno fatte rispettare.

I soldati, in ogni caso, non andrebbero giudicati in maniera differente dai civili?

In base ai principi del diritto internazionale, di natura convenzionale e consuetudinaria, gli appartenenti a una forza armata, quando si trovano all’estero, sono sottoposti alla giurisdizione dello Stato di provenienza. Solo lo Stato italiano può giudicare i reati compiuti dai propri militari. E anche questo è un principio ben consacrato a livello internazionale. Ma è evidente che si  sono accumulati una serie di errori tali per cui ci siamo andati a consegnare nella mani dello Stato indiano.



E adesso?

Ora, l’unico giudice che può decidere quale legge applicare è quello dello Stato del foro, ovvero un giudice indiano. Che, dal canto suo, ai sensi della disciplina di cui sopra, non può seguire altra strada che quella di affermare la competenza dello Stato italiano. Sappiamo, tuttavia, che ci sono strumentalizzazioni, un’opinione pubblica decisamente ostile ai fucilieri e le elezioni tra pochi giorni.

Cosa possiamo fare, quindi?

Le diplomazia sta facendo il suo corso. Tuttavia, dato che la questione è stata impostata in questi termini, ha dei margini di azione piuttosto delicati. Non resta che prendere tempo. La vicenda è stata strumentalizzata per ragioni di politica interna e non è pensabile pensare di venire a capo dell’atteggiamento ostile della popolazione in pochi giorni. Anzitutto, quindi, dobbiamo aspettare che trascorrano le elezioni. E’ auspicabile che, una volta placati gli animi, le cose possano volgere al meglio.

E se così non fosse?

In tal caso, superata la prima fase diplomatica, il diritto internazionale prevede dei sistemi di risoluzione dei problemi. Esiste la possibilità di ricorrere, ad esempio, alla Corte internazionale di giustizia, il massimo organo giurisdizionale per risolvere le controversie tra Stati. E’ possibile valutare, inoltre, se il Tribunale internazionale del mare, per il caso specifico, abbia competenza. Ci sono anche altri tipi di tribunali internazionali, per ciascuno dei quali occorrerebbe verificare se sussistano gli estremi affinché possano avere la competenza sulla vicenda.

Perché l’India sta agendo ignorando il diritto internazionale?

L’India, come altri Paesi in via di sviluppo, sta cercando di assummere un ruolo mondiale preminente. La questione Battisti, tanto per intenderci, ha rappresentato uno schiaffo nei confronti italiani che non aveva alcuna ragion d’essere, e che va anch’esso interpretato in tal senso. Forti della loro crescita, nazioni come India, Cina e Brasile vogliono assumere rilevanza politica oltre che commerciale. Si tratta di una prova di forza per dimostrare che, rispetto al passato, sono in grado di non farsi più dettare le regole da chi un tempo li dominava.