La vicenda di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò italiani arrestati in India il 19 febbraio scorso con l’accusa di aver ucciso due pescatori dopo averli scambiati per pirati, sembra non trovare soluzione. Mentre i militari italiani restano nel carcere di Poojappura, il premier Monti ha incontrato a Bruxelles l’Alto rappresentante Ue per la politica estera, Catherine Ashton, la quale, secondo la presidenza del Consiglio, si impegnerà «ad intraprendere ogni possibile ulteriore passo per arrivare ad una soluzione positiva» della vicenda. IlSussidiario.net ha contattato a riguardo Vittorio Emanuele Parsi, docente di Relazioni internazionali nell’Università Cattolica di Milano.
Professore, cosa pensa di tutta la vicenda?
E’ una questione intricata che va oltre la motivazione elettorale che, anche se in questi giorni sembra essere la spiegazione prevalente, rischia di farci disilludere tra un paio di mesi. L’intera vicenda può essere spiegata dicendo che l’India sta in qualche modo flettendo i muscoli, non tanto nei confronti dell’Italia ma dell’intero Occidente, imponendo le sue regole e l’interpretazione delle regole della politica internazionale e comportandosi come una grande potenza.
Lei quindi non dà peso alle ormai vicinissime elezioni nel Kerala?
La teoria delle elezioni indiane è a mio giudizio accessoria, e non quella di fondo. L’Italia sembra invece convinta del fatto che dopo il voto nel Kerala la situazione cambierà. E’ possibile, ma diminuirà solo un elemento marginale di pressione, non quello sostanziale.
Come giudica l’operato del ministero degli Esteri fino ad ora?
Il ministero degli Esteri si è mosso lentamente e non proprio brillantemente, in particolare sbagliando a mio avviso la lettura strategica. Non ha capito cosa c’era in ballo e che bisognava fin da subito fare la voce grossa, alzare il tono della polemica per far capire che questo contenzioso non sarebbe stato tollerato, ma avrebbe avuto conseguenze. Dal momento in cui la nave è entrata in acque territoriali e la polizia ha attirato a terra i marinai, con tutto ciò che ne è conseguito, le carte che si è ritrovato in mano il ministero erano certamente già cattive, ma con queste ha anche giocato male.
Cosa pensa dell’incontro Monti-Ashton e dell’intervento Ue?
Qualunque forma di intervento è certamente utile, così come è utile chiedere con forza che la nullità della politica estera dell’Unione europea e quella del servizio diplomatico comune vengano finalmente allo scoperto. La questione dell’internazionalizzazione andava però impostata immediatamente, invece si sono commessi errori fin dal primo momento. Ora si cerca di recuperare, ma come in ogni situazione in cui si inizia in un modo e poi si cambia rotta, le cose non vanno come si vorrebbe. La sfortuna ha poi voluto che poco tempo dopo accadesse anche il pasticcio del blitz inglese, a cui è seguita una reazione a mio giudizio inconsulta e sbagliata che ha di fatto indebolito la possibilità di ricorrere ai buoni uffici inglesi, per quanto questi possano valere, nei confronti dell’India.
Cosa pensa delle affermazioni del ministro degli Esteri Terzi, secondo cui la nave con a bordo i due fucilieri italiani è entrata nel porto di Kochi per un «sotterfugio della polizia locale»?
Il comandante non doveva uscire dalle acque internazionali, la nave non doveva entrare in porto e i marò non dovevano scendere. Punto. Bisogna innanzitutto capire chi abbia dato questo ordine, anche se è presumibile che siano stati il comandante e la Compagnia, e poi impegnarsi affinché ne rispondano, perché non è accettabile mettere a repentaglio in questo modo le forze di sicurezza della nave.
Se invece la nave fosse rimasta in acque internazionali?
Se la nave italiana fosse rimasta in acque internazionali, l’India avrebbe avuto la sua posizione a riguardo e noi la nostra. Adesso invece per risolvere la questione siamo costretti a dover trovare una posizione comune, e nel caso in cui questo non accada i due marò resteranno in galera. E c’è una bella differenza.
(Claudio Perlini)