La repressione non accenna minimamente a mitigarsi, mentre le sue vittime sono ormai più di 8mila; molte di queste sono donne e bambini torturati fino alla morte. Assad, al limite estremo di una tragica beffa, ha deciso di indire nuove elezioni per maggio. Una manifestazione di disprezzo del ridicolo e del popolo siriano, dato che i carri armati continuano a entrare nelle città, a sparare sulle abitazioni dei civili, mentre i soldati fanno irruzione casa per casa, prelevando gli oppositori e facendoli sparire nel nulla. Troppo pericoloso. La Farnesina ha deciso di chiudere l’Ambasciata a Damasco e di ritirare il proprio staff diplomatico. «La situazione sta continuando a peggiorare, e non è più possibile garantire la sicurezza del personale italiano. Questa, di certo, è la prima considerazione oggettiva che ha portato l’Italia ha fare questa scelta», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net, Stefano Torelli Analista di Equilibri.net e Research Assistant dell’Ispi. Ci sono, tuttavia, un’altra serie di valutazioni da fare: «La Farnesina ha atteso di vedere l’evoluzione della situazione e il comportamento degli altri Paesi. Non tutti, infatti, hanno ancora ritirato le proprie rappresentanze. Probabilmente, hanno avuto il loro peso anche le polemiche degli ultimi giorni relative alla gestione del caso dei due marò e dell’ingegnere ucciso in Nigeria. In sostanza, si è cercato di prevenire altre situazioni critiche in un momento in cui il governo si trova nell’occhio del ciclone». Vi è, inoltre, la volontà di lanciare un chiaro segnale politico. «L’Italia ha inteso isolare ulteriormente il regime di Damasco».



Il ministero degli Esteri, tuttavia, ha fatto sapere che continuerà a dare il suo appoggio al popolo siriano, lavorando per «una soluzione pacifica della crisi, che ne garantisca i diritti fondamentali e le legittime aspirazioni democratiche». Intende forse schierarsi con chi, nel Consiglio di Sicurezza Onu è contro un’azione militare? Torelli, a tal proposito, fa presente che «tradizionalmente la diplomazia italiana non ha mai dato il proprio appoggio esplicito a dichiarazioni di guerra preventiva, ma ha sempre cercato di percorrere altre strade. Si pone, in ogni caso, la questione di come sostenere la posizioni, passando dalle parole ai fatti». In sostanza, «la repressione ha assunto ormai i connotati di un conflitto civile dove ci sono due parti schierate l’una contro l’altra». Un intervento militare è quindi, a questo punto, possibile: «l’apporto alle opposizioni, ad un certo punto dovrà tradursi in un sostegno economico e logistico. La modalità più probabile in cui possa concretizzarsi consiste in sostegno esterno poco visibile. Nell’armare, cioè, i ribelli e le opposizioni in modo da ribaltare i rapporti di forza per far cadere il regime». Il che converrebbe a tutti: «credo che sia la soluzione auspicata dalla maggior parte delle cancellerie occidentali che eviterebbero, così, un coinvolgimento in prima persona». 



Ci sono, tuttavia, una serie di incognite tali per cui non è esclusa l’ipotesi peggiore: «Sussiste ancora la possibilità che Assad, alla fine, abbia la meglio. E che con il tempo la crisi rientri. Nel panorama mediorientale e dal punto di vista della politica occidentale non sarebbe una novità. Basta vedere quanto accadde con Saddam Hussein nel ’91 quando, alla fine, riuscì a riprendersi in mano il Paese».  

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