Un’altra giovane vita italiana stroncata in Afghanistan. A restare ucciso dai colpi di mortaio dei talebani stavolta è stato il sergente Michele Silvestri, di 33 anni, sposato e padre di un bambino piccolo. Con lui salgono a 50 le vittime tra i nostri militari in Afghanistan, con un bollettino di guerra che non accenna ad arrestarsi. Silvestri faceva parte del 21/o Genio Guastatori di Caserta, insediato nell’avamposto “Ice” da dieci giorni. Oltre a lui sono rimasti feriti cinque militari. Appena cessato il bombardamento dei talebani, subito è partito il fuoco di fila delle dichiarazioni dei politici, con Antonio Di Pietro secondo cui “siamo in guerra, una guerra che non ci appartiene, vietata dalla Costituzione italiana. Più passa il tempo e più la popolazione afghana ci odia”. Per il generale Carlo Jean al contrario, “la grande massa della popolazione afghana è a favore della presenza occidentale nel Paese. Il primo pensiero è di ammirazione per come i nostri militari si comportano in prima linea. Non c’è stato nessun fenomeno di sbandamento né a livello militare né da parte del nostro governo. L’Italia quindi esce a testa alta anche da questo doloroso episodio”.



Generale Jean, con la morte del sergente Silvestri i nostri soldati rimasti vittime in Afghanistan salgono a 50. Da quale situazione nasce questo nuovo attacco che segue quello del 20 febbraio scorso?

Il primo pensiero è il cordoglio per la perdita di un soldato italiano e l’ammirazione per come si comportano i nostri militari in prima linea. Questo nuovo attacco nasce da una situazione ben più complessa di quella che riguarda il solo contingente italiano. Dipende in primo luogo dalle reazioni della guerriglia, della popolazione afghana e dei credenti nell’Islam alla bruciatura nel Corano, all’uccisione dei 16 civili nella zona di Kandahar da parte del sergente Usa e alle tensioni esistenti tra Stati Uniti e il governo Karzai. I guerriglieri talebani cercano di accreditarsi come i difensori dell’Islam e della dignità afghana e come i vendicatori di chi li offende, perché l’idea di vendetta fa parte della cultura profonda di questi popoli.



Secondo alcuni l’Italia dovrebbe ritirarsi subito dall’Afghanistan, secondo altri si tratta di una guerra che non possiamo perdere. Lei come la vede?

L’Italia non si trova in Afghanistan per vincere la guerra, né per una missione umanitaria nei confronti della popolazione afghana. I nostri militari sono là in quanto facciamo parte di un’alleanza e abbiamo bisogno di tenere gli Stati Uniti stretti a noi il più possibile, anche perché la presenza Usa in Europa non è importante soltanto per la sicurezza del Mediterraneo, ma perché fa sì che l’Italia, che è la più piccola tra le potenze europee, sia un po’ meno piccola. Gli americani bilanciano infatti la forza di Gran Bretagna, Francia e Germania.



Fatta questa premessa, vale ancora la pena che i nostri militari restino in Afghanistan e per quanto tempo?

L’Italia, nel corso del summit Nato di Lisbona del 2009, si è impegnata a rimanere in Afghanistan fino al 2014. Il nostro Paese ha concordato con gli alleati che partecipano alla missione Isaf le linee guida per il ritiro, che sarà estremamente graduale, legato all’afghanizzazione del conflitto, al fatto cioè che le forze di polizia afghane avranno sempre maggiori poteri in modo da poter difendere il Paese impedendo che cada immediatamente in mano ai talebani. La grande massa della popolazione afghana è a favore della presenza occidentale. Fa eccezione, a parole, il presidente Karzai, che ha però delle esigenze di carattere politico interno e deve cercare di dare un colpo al cerchio e uno alla botte, in modo da evitare di sembrare una marionetta nelle mani degli americani. I toni che usa sono quindi finalizzati a creare il consenso degli afghani nei suoi confronti.

Quali sono invece gli obiettivi di Obama in Afghanistan?

Obama ha sempre dichiarato che quello in Afghanistan era un intervento necessario, a differenza di quello in Iraq voluto da George W. Bush e che ha sempre criticato in modo netto. Il presidente democratico ha dato quindi vita al surge di 30mila soldati americani, i cui ultimi 22mila rientreranno negli Usa a fine settembre. Il futuro dell’Afghanistan sarà discusso al summit Nato che a maggio sarà tenuto a Chicago, alla presenza dei capi di Stato e di governo. In quella occasione sarà fatto il punto della situazione, in quanto la strategia deve adeguarsi di volta in volta a ciò che avviene sul terreno, nonché a condizionamenti di politica interna.

Dopo gli ultimi drammatici episodi in Afghanistan, come quello dei Corani bruciati, in molti hanno messo sotto accusa i militari Usa per la loro impreparazione …

La guerra ha sempre due aspetti. Le operazioni sul campo, che seguono una strategia militare, e l’aspetto psicologico. Nella base di Bagram il Corano è stato bruciato per errore, in mezzo a mucchi di altro materiale. I talebani hanno sfruttato quindi quanto è avvenuto per sottolineare il disprezzo che secondo loro gli americani avrebbero nei confronti della religione islamica.

 

(Pietro Vernizzi)