A grandissima maggioranza il Parlamento turco ha approvato la riforma della scuola. Un successo ovviamente permesso dalla maggioranza assoluta di cui gode il partito del premier Erdogan, di tendenza islamica moderata. Sono infatti stati 295 i voti a favore e 91 i contrari. Non è filato tutto in modo liscio però, anzi. In Parlamento alcuni deputati delle due fazioni sono anche giunti alle mani, mentre in strada sostenitori dell’opposizione (di matrice nazionalista e laica) hanno inscenato manifestazioni, represse dalle forze dell’ordine con lacrimogeni e idranti. Perché una riforma della scuola provoca tali tensioni e scontri? Perché per la prima volta da quando esiste la Repubblica Turca, e cioè dal 1924, viene introdotta la possibilità che nelle scuole si tengano corsi di religione islamica. Si tratta di corsi del tutto facoltativi, ma non per questo le opposizioni si sentono tranquille: si parla infatti di fine dello Stato laico turco. Per il professor Khaled Fouad Allam, contattato da IlSussidiario.net, la paura che la Turchia stia diventando uno Stato islamico è esagerata. “In Turchia” dice Allam “si assiste a un laboratorio che sta interessando molto altri Paesi islamici. Un laboratorio cioè che cerca di far confrontare religione ed esigenze della modernità, senza per questo mettere in dubbio la democrazia e la laicità dello Stato”.
Professore, in Turchia per la prima volta dopo la fine del califfato si torna a insegnare religione islamica nelle scuole.
Non vedo cosa ci sia di scandaloso: ogni Paese ha le sue tradizioni storiche in questo senso. In Italia la religione viene insegnata nelle scuole, in Francia invece no.
Ma come giudica quanto introdotto dal Parlamento turco? C’è o no il rischio di andare verso un fondamentalismo islamico?
A prima vista quello che posso dire è che mi sembra evidente che da un paio di anni, da quando cioè Erdogan governa con un partito di matrice islamica, si assiste a una sorta di rivisitazione della storia turca.
Cosa significa questo?
Significa che si cerca di conciliare alcune esigenze presenti nella società turca. Non siamo più davanti alla Turchia nazionalista e laica che era nata nel 1924 con la fine del califfato e che aveva costruito la sua modernità in opposizione al ruolo preponderante della religione.
C’è già però chi ad esempio in Italia tira fuori la vecchia polemica secondo la quale la Turchia con scelte come queste non merita di entrare nella comunità europea.
Non dimentichiamo che la Turchia fino al 1924 era il luogo dove aveva la sede il califfato islamico. Erdogan reintroduce sì in modo progressivo il ruolo dell’Islam, ma un islam che comunque non può che confrontarsi con la condizione che pongono le grandi questioni della modernità.
Quali sono queste questioni?
Innanzitutto la secolarizzazione. Bisogna dire che con questa riforma, che ovviamente devo ancora studiare a fondo, non mi sembra si sia varcato il confine di un grande pericolo. Tale pericolo non si renderà concreto fino a quando non si tocca la modernità politica.
Lei crede che questo confine sia ancora lontano?
Chiediamoci che cosa è la modernità: è l’autonomia del rapporto fra sfera temporale e sfera spirituale. Osservando quello che sta succedendo in Turchia, parlo della riforma scolastica, mi sembra di capire che comunque una ampia libertà di scelta viene lasciata agli alunni. Non dimentichiamo quanti movimenti stanno nascendo intorno al fatto che la Turchia sta diventando una specie di laboratorio per tutto il mondo islamico, un laboratorio dove ci si confronta con la modernità. La Turchia di Erdogan cerca una modernità che non concede alla sfera religiosa di diventare predominante, ma cerca di posizionare invece la sfera religiosa davanti ai principi di modernità.
In effetti nei Paesi arabi si assiste a un momento di grande attività, di discussione e di confronto tra due visioni: tra modernità e impulsi fondamentalisti.
Certamente, basta guardare al caso della Tunisia. Mi ha molto sorpreso il modo come il partito al potere ha saputo resistere coraggiosamente alle richieste dei salafiti di introdurre la sharia nella nuova Costituzione. Probabilmente proprio attraverso la Turchia sta nascendo una nuova modernità, questo Paese può diventare davvero un modello per i Paesi musulmani. Non si cancella l’Islam ma lo si riposiziona di fronte a ciò che noi definiamo modernità.
Secondo lei è dunque in corso un dibattito di livello storico.
Tornando alla Turchia, credo che quanto sta accadendo da quando Erdogan è al potere possa effettivamente porre dei problemi a ciò che è stata per più di settant’anni la cultura nazionalista turca. Ma questa è la democrazia: due visioni del mondo che discutono e si contraddicono, ma coabitano insieme. Le istituzioni democratiche servono a questo, per far sì che le posizioni che nascono si sviluppino dentro le istituzioni e non per la strada, come succede ancora spesso nel mondo islamico.
D’altro canto è impossibile pensare ai Paesi arabi senza l’Islam.
Voglio ricordare la bellissima frase che disse una volta André Malraux, scrittore e ministro della cultura con De Gaulle. Nel suo romanzo “Antimémoires” dice a un certo punto, in modo veramente profetico, che il XXI secolo sarà religioso o non sarà. Ovviamente bisogna definire che cosa è religione o no. L’errore che a mio avviso facciamo è pensare alla religione in modo ancora antiquato. Ogni secolo invece riformula l’idea di religione di fronte alle esigenze del secolo che sta attraversando.
In conclusione, quanto ha detto un esponente dell’opposizione turca – che cioè con questa riforma è morta la repubblica ed è tornato il califfato – si può dire sia esagerata.
Direi di sì. Io posso capire un nazionalista che dice questo, ma mi sembra davvero esagerato. Posso capire che un nazionalista turco che ha costruito la sua cultura su questa visione politica dica un parere del genere, ma non mi sembra sia possibile cancellare la democrazia. La Turchia di Erdogan cerca di entrare nell’Unione europea proprio attraverso l’idea, che loro stanno riformulando, di ciò che è religione e ciò che è società.