L’evoluzione della situazione iraniana, con la vittoria dei conservatori della “guida suprema”, Alì Khamenei, sta diventando la nuova “mina vagante” non solo della polveriera mediorientale, ma di tutto il mondo. Su 290 seggi al Parlamento di Teheran, secondo i primi dati, il gruppo dei “Principalisti” di Khamenei avrebbe ottenuto il 75 percento delle preferenze e questo metterebbe i bastioni tra le ruote al premier Mahmoud Ahmadinejad, di certo non una “colomba”, ma quanto meno, in quel mondo complicato di fondamentalismo islamico e di “guerra a ogni a costo” contro Israele, un realista che sa anche barcamenarsi nella politica internazionale, molto meglio, rispetto a Khamenei. Qualsiasi speranza riformista dell’Iran sembra svanita. Ben otto “grandi ayatollah” di stampo riformista non sono andati neppure a votare. Ora il problema iraniano diventa rovente e preoccupa il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama. Guido Olimpio, attento editorialista di politica estera del Corriere della Sera, esperto dei problemi del Medio Oriente, si trova a Washington e guarda con attenzione i passi dell’amministrazione americana, gli sviluppi mediorientali e soprattutto le dichiarazioni del leader israeliano, Benjamin Nethanyahu, che proprio lunedì si incontrerà con Obama.
Che cosa sta accadendo in Iran, a suo parere?
Sta confermandosi questa vittoria dei conservatori e la situazione diventa sempre più complicata, da monitorare giorno per giorno. E’ abbastanza evidente, credo per tutti, che il Parlamento di Teheran abbia ben poco peso, ma certo questa vittoria di Khamenei riduce le manovre pragmatiche di Ahmadinejad.
C’è innazitutto la preoccupazione del presidente Obama, che cercherà di convincere Nethanyhau a non sferrare alcun attacco, nessun raid contro i siti nucleari iraniani. Ma quanti margini ci sono per una mediazione in questo momento?
Non c’è dubbio che i margini siano molti stretti. Ma Obama è un politico che sa prendere decisioni. Se si innestasse una spirale: attacco israeliano e quindi “vento di guerra” in tutto il Medio Oriente, sarebbe una tragedia. Principalmente per la guerra che chissà quanti paesi di quell’area coinvolgerebbe, e in secondo luogo per le conseguenze economiche che avrebbe un clima di “attacco imminente”. A quanto salirebbe il prezzo del barile di petrolio? Impossibile dirlo, ma non si sbaglierebbe molto a pensare che si avvicinerebbe ai 200 dollari. Una botta micidiale per tutta l’economia mondiale, e per quella americana che, solo in questi momenti comincia a dare alcuni segnali di ripresa. Quindi Obama cercherà di frenare in ogni modo gli israeliani.
Ma Nethanyahu che cosa risponderà? Come ribatterà a queste richieste di Obama?
Conosco la posizione del premier israeliano, ma voglio ragionare in modo realistico. Si dice, lo dicono gli stessi israeliani, che il piano di attacco ai siti nucleari iraniani è pronto da due anni. Ma sinora questo attacco non è mai avvenuto. E una ragione ci deve essere. Anche in Israele ci sono i “vecchi”, il vecchio capo del Mossad ad esempio, che sconsigliano un attacco del genere. Al momento non posso che attenermi ai fatti e constatare che sinora il raid non c’è stato.
C’è poi un problema di “vicinato” all’Iran: Siria, Libano, Iraq. Lì ci sono possibilità reali e concrete di infiltrazione jihadista.
Questo lo conosce bene l’amministrazione americana. Per cui, ad esempio, ci si terrà distanti da un intervento in Siria nel limite del possibile. Anche se ci sono alcuni interventisti, come Hilary Clinton.
E’ difficile controllare, anche dalla Casa Bianca, una situazione come questa?
Oggi è molto più difficile rispetto a venti anni fa. Sono tante, quasi troppe le variabili che interagiscono. Quindi la situazione è al limite, va monitorata giorno per giorno, vivendo giorno per giorno, con lo scopo di scongiurare un conflitto dalle conseguenze imprevedibili.
(Gianluigi Da Rold)