La solidarietà che è stata all’origine della nascita dell’Unione Europea sembra essersi dissolta, per lasciare spazio solo agli egoismi dei singoli Stati. E’ la tesi che emerge da una recente ricerca del think tank francese “Notre Europe”, che ha evidenziato come la solidarietà nella storia dell’UE non abbia rappresentato soltanto un ideale, ma sia stata un modo concreto per perseguire obiettivi politici di ampio respiro. Sofia Fernandes, autrice della ricerca di “Notre Europe” insieme a Eulalia Rubio, spiega in un’intervista per Ilsussidiario.net perché senza recuperare le sue radici solidali il progetto europeo ha il destino segnato.
Nella ricerca di Notre Europe, “Solidarity within the Eurozone: how much, what for, for how long?”, si distingue tra due tipi di solidarietà: la semplice collaborazione di compromesso e una strategia condivisa di ampio respiro. Ritiene che all’UE oggi possa bastare il primo tipo di solidarietà, o che sia necessario il secondo, e perché?
Per rispondere alla sua domanda vorrei partire dalla distinzione tra le due logiche che possono indirizzare la solidarietà tra gli Stati dell’Unione Europea. Una è basata su una reciprocità diretta, cioè un Paese accetta di aiutarne altri poiché, in futuro, potrebbe a sua volta avere bisogno dello stesso tipo di aiuto. L’altra si fonda su ciò che possiamo chiamare “un proprio interesse illuminato”, cioè un Paese accetta di aiutare altri Paesi perché, agendo nell’interesse di altri membri dell’UE o nell’interesse dell’Unione nel suo insieme, ultimamente serve i propri interessi. Se si considerano questi due diversi approcci, si può facilmente concludere che l’UE ha bisogno di entrambi i tipi di solidarietà. Il primo (l’accordo di tipo assicurativo) si fonda sulle analogie tra i membri del gruppo, che si trovano di fronte agli stessi rischi, mentre il secondo parte dalle differenze esistenti tra gli Stati dell’Unione: i Paesi più forti, o più ricchi, aiutano quelli più deboli, o più poveri, per dare stabilità al gruppo nel suo insieme e assicurare la fattibilità del progetto comune.
Può fare qualche esempio di questa differenza?
Un esempio fondato sulla reciprocità è dato dalla “clausola di solidarietà” nel Trattato di Lisbona, secondo la quale “gli Stati membri agiscono congiuntamente in uno spirito di solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo” (Art. 222 TFUE). In questo tipo di solidarietà, i Paesi UE si impegnano ad aiutarsi reciprocamente di fronte a rischi che sono comuni a tutti. In questo caso, tutti gli Stati dell’Unione sono al contempo potenziali datori e ricevitori di aiuto. L’interesse di chi fornisce aiuto è chiaro e fondato su una reciprocità diretta: dato che il rischio è probabilistico, chi dà aiuto oggi, a sua volta può essere beneficiario di aiuto domani. La solidarietà basata su un illuminato interesse proprio è la logica su cui si fonda la politica di coesione della Unione Europea. In questo caso, la solidarietà origina dalla convinzione degli Stati membri che aiutare altri Paesi dell’UE alla fine porta vantaggi anche a se stessi. In particolare, gli Stati più ricchi aiutano quelli più poveri a sviluppare le loro economie in cambio del loro impegno nel processo di integrazione economica e perché capiscono che lo sviluppo delle economie più povere ha ritorni positivi per loro, in termini di aumento delle esportazioni, delle opportunità di investimento, o per la conseguente riduzione nei flussi migratori, e via dicendo.
Per quale motivo ritiene che di fronte al debito greco l’UE si sia mostrata scarsamente solidale?
Indubbiamente la solidarietà è anche all’origine delle decisioni di salvataggio e degli accordi di solidarietà nell’Eurozona dall’inizio della crisi debitoria. Gli sforzi solidaristici sono stati stimolati dalla consapevolezza che, data la interdipendenza tra i Paesi UE, il default del debito di uno Stato avrebbe conseguenze catastrofiche nell’intera Eurozona. Proprio durante l’attuale crisi, tuttavia, si è potuto verificare quanto possa essere difficile realizzare, sotto il profilo politico, questo tipo di solidarietà, dato che le opinioni pubbliche nazionali mostrano evidenti difficoltà nel percepire i benefici derivanti dall’aiutare altri Paesi. In questo scenario, è fondamentale ricordare che questo tipo di solidarietà deve essere limitato a un’assistenza temporanea, non permanente, di uno Stato membro. In breve, la solidarietà basata su un proprio interesse illuminato sarà necessaria fintanto che vi saranno differenze rilevanti tra i Paesi dell’Unione.
Nell’imminenza delle elezioni in Francia, in Germania e in Grecia, ritiene che gli elettori di questi tre Paesi siano in grado di apprezzare un atteggiamento solidale da parte dei loro governanti, o che la solidarietà sia un sinonimo di sconfitta elettorale?
In molti Paesi dell’UE, l’aiuto agli Stati in condizioni di necessità è stato falsamente presentato da parte di media o partiti politici come un trasferimento reale di denaro. In Germania, per esempio, quando fu approvato il primo pacchetto in favore della Grecia, il quotidiano Bild accusò il governo di dare miliardi ai greci, nel momento stesso in cui tagliava la spesa interna per scuole e verde pubblico. Ciò rende difficile per l’opinione pubblica accettare questo tipo di solidarietà. È quindi importante chiarire che l’assistenza finanziaria di cui si parla non consiste in sovvenzioni, ma in prestiti non agevolati. Malgrado vi sia una componente solidaristica, se Grecia, Portogallo o Irlanda terranno fede ai loro impegni, non vi sarà nessun costo a carico dei Paesi prestatori. Inoltre, i leader dei vari Stati dovrebbero spiegare alla loro opinione pubblica i costi insiti nel non aiutare i Paesi in difficoltà. Una migliore comunicazione sugli accordi di solidarietà aiuterebbe certamente a cambiare la loro percezione da parte dei cittadini. Ad ogni modo, non sembra ragionevole pensare che queste iniziative solidaristiche possano contribuire a una sconfitta alle prossime elezioni delle attuali maggioranze in Francia o Germania.
Per quale motivo?
Per una ragione molto semplice: in entrambi i Paesi, i maggiori partiti di opposizione sono sostenitori di un approccio solidaristico, anzi spingono per fare ancor di più, per esempio attraverso l’introduzione degli Eurobond. Nel caso della Grecia, la situazione è rovesciata: ciò che è in gioco non è la solidarietà ottenuta, ma i programmi di ristrutturazione che i governi devono impegnarsi ad attuare in cambio di questa solidarietà. Come indicano i sondaggi, nelle prossime elezioni il Pasok (il partito al governo) verrà probabilmente penalizzato a causa delle misure di austerità che ha dovuto adottare negli ultimi due anni.
(Pietro Vernizzi)