Che ne sarà dei due marò italiani? L’eventualità che tutto potesse concludersi a tarallucci e vino è bella che archiviata. Il giudice della Corte di Kollamdavanti, di fronte alla quale si sono presentati, ieri mattina, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, non ha mostrato incertezze né pietà: i due fucilieri del reggimento San Marco, accusati dalle autorità indiane di aver ucciso, il 15 febbraio scorso, due pescatori, scambiandoli per pirati, dovranno stare nel carcere di Trivandrum per 14 giorni. Al termine di questo periodo, appariranno nuovamente di fronte alla Corte. L’Italia, dal canto suo, per bocca della Farnesina, prova a far sentire la sua voce. Ma a ben poco sembrano valere considerazioni quali il fatto che la Enrica Lexie, la nave sulla quale si trovavano i nostri soldati, batteva bandiera italiana e, al momento dell’episodio contestato, si trovava in acque internazionali; quindi, secondo il diritto internazionale, si sarebbe dovuta applicare la nostra legge. Secondo quello di New Delhi, invece, l’India può perseguire anche fuori dalle acque territoriali reati contro i propri cittadini secondo le proprie norme. Che prevedono, per i casi di omicidio, anche la pena di morte. Abbiamo chiesto a Antonio Ferrari come interpretare la situazione.
Si direbbe che la nostra diplomazia conta, oramai, ben poco. Lei che idea si è fatto?
Non credo che si tratti di un problema di credibilità internazionale. Va detto, anzitutto, che in quelle zone c’è un serio problema di pirateria, relativamente al quale sussistono una serie di incertezze, anche sul fronte normativo. Certo, eravamo in acque internazionali, dove si ha il diritto di difendersi. Ma una situazione del genere rappresenta, per i rapporti tra India e Italia, un episodio del tutto nuovo che occorrerà capire come affrontare adeguatamente.
In ogni caso, perché questo atteggiamento da parte delle autorità indiane?
Semplice: si tratta di un Paese emergente, straordinariamente orgoglioso, desideroso di sottolineare la propria dignità. E’ ipotizzabile, quindi, che l’elemento psicologico abbia giocato un ruolo determinante in tutta la vicenda. In sostanza, l’India non vuole cedere alle pressioni, né manifestare debolezza accettando la versione italiana. Non vedo altra ragione, per adesso, se non la volontà di far chiarezza, in una vicenda ambigua, salvaguardando un onore che rivendica, anzitutto, il rispetto delle proprie regole. Sono, del resto, un miliardo di persone.
Quindi? Cosa accadrà?
Temo che sarà molto difficile che la questione si risolva dall’oggi al domani.
Sì, ma teme il peggio?
No. Credo che, alla fine, tutto si risolverà e che potranno tornare a casa. La mia preoccupazione riguarda i tempi: dal momento che, ormai, siamo entrati in un imbuto giudiziario, potrebbero rivelarsi particolarmente lunghi.
Crede che ci possano essere stata zone d’ombra sul fronte del diritto?
Il problema del diritto internazionale, effettivamente, è molto delicato; pur essendo molto preciso denota anche diverse lacune. Il problema della pirateria si è venuto a intensificare dopo il fallimento della pacificazione della Somalia; nella nuova situazione si era reso necessario aggiornare regole e consuetudini che si pensava avrebbero potuto reggere all’urto del tempo. A dicembre, d’altronde, mi è capitato di moderare un dibattito a Genova sul Mediterraneo, dove ho discusso con dei capitani di lungo corso che mi hanno confermato l’ambiguità di svariati aspetti.
Ad esempio?
Capita, di tanto in tanto, che navi assaltate siano liberate dietro pagamenti di riscatti. E che il tutto avvenga con la mediazione di grandi compagnie assicurative o importanti studi legali, magari, londinesi.
Cos’altro ci resta da fare, salvo implementare i nostri sforzi diplomatici?
Credo che la diplomazia, benché possa richiedere tempo, sforzi e sacrifici, sia l’unica strada in grado di raggiungere l’obiettivo.
L’episodio potrebbe rappresentare un casus belli?
Lo escluderei nella maniera più assoluta. L’Italia, anzitutto, non è un Paese belligerante. Per tradizione, ha sempre cercato di far prevalere il diritto e le proprie ragioni, cercando di comprendere anche quelle degli altri. Si sta discutendo se esista l’ipotesi di un intervento armato internazionale contro l’Iran e contro la Siria per motivi ben più gravi. Figuriamoci se è ipotizzabile un’operazione militare in questo caso. Tanto più che i rapporti tra India e Italia sono sempre stati buoni e, ad oggi, non ci sono contenziosi di entità rilevante.
(Paolo Nessi)