Difficile prevedere con esattezza quale definizione assumerà la nuova Majlis, la Camera unica del parlamento iraniano per il rinnovo della quale si è votato nel fine settimana. La parzialità dei dati non rende possibile stabilire, in particolare, il futuro delle alleanze. Una cosa, tuttavia, è certa. Le elezioni sono state vinte dal partito conservatore che fa riferimento alla guida suprema iraniana, l’ayatollah Ali Khamenei. Le due formazioni che appoggiano, invece, il presidente uscente Mahmoud Ahmadinejad, sono state notevolmente ridimensionate. Dovremo, a questo punto, aspettarci un giro di vite sui diritti fondamentali dell’uomo, una stretta, in particolare, sulla popolazione cristiana? Niente di tutto ciò. Per un semplice motivo: «già adesso, i diritti per le minoranze religiose sono ridotti al minimo, sono pressoché inesistenti», dice a IlSussidiario.net Camille Eid, giornalista e docente di Lingua araba nell’Università Cattolica di Milano. La situazione descritta, in effetti, è decisamente allarmante. «Non vi è alcuna libertà religiosa, salvo la celebrazione formale del culto. Per il resto, la maggioranza dei cristiani, che appartiene alla chiesa armena, o alle chiese assire (ortodossi) e caldee (cattolici), sono considerate un corpo estraneo al Paese».



Gli esempi di restrizioni non mancano. «Sulle prime pagine dei catechismi è stampata la foto di Khomeini; è consentito, inoltre, leggere il Vangelo e celebrare la messa solamente in lingua armena o assira; se viene adottata la lingua farsi, il gesto viene considerato un atto di proselitismo, ufficialmente punibile con la morte, così come l’apostasia». Casi di tortura e pena di morte, specie negli anni passati, ce ne sono stati, e parecchi. «Diversi pastori anglicani sono stati impiccati dallo Stato, mentre molti altri religiosi sono stati eliminati in via extragiudiziale da gruppi armati che passavano di casa in casa fino a quando non li stanavano e li facevano scomparire». Non solo: «moltissime famiglie sono state costrette, inoltre, a fuggire, magari in Turchia».



La vittoria di Khamenei non modificherà una situazione già di per sé tragica per un altro motivo. «L’Iran è un paese teocratico, dove la figura di Ahmadinejad, il presidente della Repubblica, in realtà conta poco o niente. Ogni suo gesto, per essere legittimo, deve essere avvallato dalla Guida suprema; che, d’altro canto, è il punto di riferimento dello sciismo mondiale. Il potere dei due non è lentamente paragonabile». In Occidente si ha una percezione diversa. «Ahmadinejad è più noto perché le sue sortite gli hanno consentito di attirare su di sé i riflettori. Ma non c’è confronto. La sua figura è assimilabile, al limite, a quella di un primo ministro». 



Ecco, quindi, i reali poteri di Khamenei: «In virtù del fatto che è considerato il sostituto del Dodicesimo Imam atteso dagli sciiti, non solo concentra tutto il potere religioso nelle sue mani, ma controlla e comanda l’esercito, controlla e comanda i poteri giudiziari, è il garante della Costituzione, controlla le forze di polizia e, infine, la Guardia repubblicana, i Pasdaran, un corpo paramilitare che affianca l’esercito; si tratta di coloro che hanno fatto la rivoluzione nel ’79 e rappresentano la colonna fondante del potere iraniano». In effetti, è sufficiente osservare cosa accade quando  Ahmadinejad e Khamenei si incontrano: «il primo si inginocchia di fronte al secondo o, talvolta, gli bacia la mano».