Il governo irlandese ha annunciato che intende tenere un referendum sul nuovo patto fiscale europeo. Nonostante una situazione di profonda recessione, un’elevata disoccupazione e un crescente risentimento contro l’Unione Europea, la maggior parte della stampa irlandese si è detta convinta del fatto che non ci sono alternative a votare sì. L’Irlanda finora è il primo e l’unico Paese nell’eurozona ad avere indetto un referendum sul patto fiscale europeo. Deciso lo scorso gennaio, il trattato sostenuto dalla Germania inserisce una regola sul pareggio di bilancio nelle legislazioni nazionali. Ilsussidiario.net ha intervistato John Waters, scrittore ed editorialista di The Irish Times, nonché una voce fuori dal coro nell’attuale dibattito sui dictat tedeschi a Paesi come Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia.



Waters, come valuta l’idea di indire un referendum sul patto fiscale europeo?

Dipende da quale prospettiva decidiamo di assumere. Se è quella del Cancelliere tedesco, tenere ora un referendum in Irlanda è una pessima idea. Ma in una prospettiva irlandese, un referendum è assolutamente vitale per la nostra democrazia e il nostro futuro. Ciò di cui abbiamo bisogno è una discussione chiara su quanto sta avvenendo. Sono quasi quattro anni da quando questa crisi è iniziata, e in tutto questo tempo abbiamo attraversato diverse fasi. In quelle iniziali c’è stata una sostanziale incomprensione di quanto stava avvenendo. Il primo istinto degli irlandesi è stato di prendersela con il loro governo, che effettivamente aveva commesso una serie di errori.



Sono stati gli errori del governo a provocare la crisi in Irlanda?

No, tanto è vero che con il tempo c’è stata però una graduale presa di coscienza del fatto che quanto era avvenuto era qualcosa di diverso. Non si trattava cioè di una crisi del nostro sistema fiscale, ma del mondo bancario, e non era una recessione irlandese bensì europea. Per fare un esempio, è stato come un incidente ferroviario in cui un treno è stato colpito da un fulmine, e i passeggeri si sono convinti che la colpa fosse del macchinista che era ubriaco. Il macchinista ubriaco non va giustificato, ma non è stata la sua ubriachezza a produrre il fulmine. E’ la stessa cosa che è avvenuta in Irlanda: il nostro governo era da criticare per i suoi errori, ma non è stato il primo ministro irlandese a provocare la crisi.



Secondo lei alla fine come voterà la maggioranza degli irlandesi al referendum?

E’ davvero difficile riuscire a prevederlo, perché ci sono troppe variabili in gioco. E’ possibile per esempio che se si dovessero profilare dei rischi di un “no”, gli altri Paesi europei potrebbero considerarlo una battuta d’arresto troppo grave per il progetto europeo. Potrebbero quindi concedere all’Irlanda dei margini di manovra più ampi, che potrebbero portare a un voto favorevole. Ciò che è avvenuto infatti è che l’Irlanda è stata paralizzata per problemi che non avevano a che fare con i cittadini irlandesi, ma con le pratiche degli istituti di credito, le banche centrali europee e le politiche monetarie dell’euro. L’insieme di questi fattori ha provocato una sorta di iperinflazione in tutta Europa, e soprattutto nei Paesi periferici come Irlanda e Portogallo. La Germania ne è stata risparmiata perché nei primi anni del nuovo millennio, quando è stato introdotto l’euro, era in una fase di depressione. Secondo i tedeschi, la difficile situazione in cui si trova ora l’Irlanda sarebbe una conseguenza del nostro atteggiamento morale. Mentre è una conseguenza delle politiche perseguite dall’Europa centrale, cioè essenzialmente dalla Germania.

 

Secondo l’Irish Times, “se il referendum dovesse respingere il patto fiscale europeo, questo aprirebbe una prospettiva terrificante per il nostro Paese”. E’ d’accordo con questa affermazione?

 

No, non sono affatto d’accordo. Venerdì ho scritto un articolo per l’Irish Times che sostiene l’opinione opposta. Ora abbiamo l’opportunità di rendere chiari i nostri trattati con i nostri partner europei. Vogliamo che per loro sia molto chiaro che non tollereremo di subire l’inflazione per i prossimi 20 anni.

 

Perché l’Irlanda può dire no a ciò che Italia e Grecia hanno dovuto accettare?

In Irlanda abbiamo una tradizione: di fronte alla crisi economica, la nostra risposta è quella di emigrare. In questo modo periodicamente partono delle intere generazioni di irlandesi, e se ciò avviene oggi le conseguenze dureranno per almeno i prossimi 50 anni. La questione quindi è molto importante per il nostro Paese. Si tratta di un aspetto ancora più profondo: non è una questione di tattica o di strategia, ma di comprendere completamente le circostanze.

 

Quindi lei è a favore di una vittoria del “no” o del “sì” al referendum?

 

Molto dipende da che cosa accadrà nel frattempo. Quello del referendum è un quesito molto tecnico, ma a essere decisivo è il contesto politico. Un conto è se l’Unione Europea dovesse dire: “Ok, comprendiamo la situazione, è il progetto europeo ad avere portato l’Irlanda sull’orlo della bancarotta. Faremo il possibile per aiutare Dublino a risollevarsi”. In questo caso, sarà nostro dovere mostrarci favorevoli a qualsiasi proposta sarà fatta per essere sicuri che il progetto europeo non fallisca. Mentre se l’establishment europeo continua nella sua cieca insistenza sul fatto che l’unico aspetto a dover essere preso in considerazione sia il deficit dei Paesi periferici, allora ovviamente diremo di no al patto fiscale europeo. Se si dovesse andare al voto oggi sceglierei per il no, perché è l’unico modo per dire all’Europa: “Rifiutiamo l’austerity, non vogliamo che i nostri figli debbano emigrare, ci opponiamo alla distruzione del nostro Paese per l’insistenza dell’Europa sulla sua logica”.

 

(Pietro Vernizzi)