Perché il governo italiano non è stato avvisato? Alla tragedia dell’ingegnere italiano ucciso dai terroristi che lo avevano rapito, si somma l’onta di non esser stati contemplati nella decisione di far scattare le operazioni per liberarlo. E’ stata presa, infatti, a quanto riferisce il nostro stesso governo, in totale autonomia dal governo Britannico. E, alla fine, il blitz che avrebbe dovuto condurre alla salvezza Franco Lamolinara e il suo collega inglese, Chris McManus, lo ha portato, invece, alla morte. I rapitori, poco prima dell’incursione delle forze britanniche, gli hanno sparato a bruciapelo. Palazzo Chigi, dal canto suo, ha fatto sapere che andrà fino in fondo, per fare chiarezza sulla vicenda. In molti, nel frattempo, si domandano se con dei ministri politici, invece che tecnici, le cose sarebbero potute andare diversamente. «Paghiamo il semplice fatto che, nel corso degli ultimi 20 anni, l’Italia ha perso autorevolezza sullo scacchiere internazionale», afferma, raggiunto da IlSussidiario.net Gianni De Michelis, ex ministro degli Esteri. «Il fatto che gli inglesi e i nigeriani abbiano organizzato un blitz senza neppure avvisare il nostro governo italiano ne è prova lampante», aggiunge. Secondo De Michelis, in ogni caso, «la colpa di tale perdita di prestigio, ovviamente, non può essere attribuita a Monti né, tantomeno, a Berlusconi (non solo, almeno)». In molti si chiedono se con D’Alema o Frattini agli Esteri, la vicenda avrebbe preso la medesima piega. De Michelis è convinto di sì: «Certamente. La dinamica ha riguardato i governi stessi». Una polemica analoga è montata relativamente alla gestione del caso dei due marò arrestati dal governo indiano con l’accusa di aver ucciso, scambiandoli per pirati, due pescatori locali. Anche qui, sono in molti a sostenere che, se il nostro governo godesse di effettivo prestigio internazionale, e se l’attuale ministro degli Esteri fosse in grado di fare il proprio mestiere, la questione sarebbe stata condotta in maniera diversa. Si sarebbe fatto, cioè, rispettare il diritto internazionale. In virtù del quale, i reati addebitati ai passeggeri di una nave, se essa si trova in acque internazionali, competono alle giurisdizione della bandiera battuta. Il medesimo diritto afferma, inoltre, che ai soldati spetti uno status particolare, che garantisce loro la cosiddetta immunità funzionale, tale per cui i reati che gli si contestano vadano attribuiti allo Stato di cui fanno parte.
«In tal caso – afferma De Michelis – il problema è consistito nella non esatta definizione delle regole d’ingaggio. Di cui, probabilmente, il ministro degli Esteri, di professione diplomatico e, a maggior ragione, il ministro della Difesa, di professione militare, per giunta in marina, avrebbero dovuto occuparsi». In sostanza: «le navi scortate da militari in servizio dovrebbero prevedere che la decisione sulle rotte, in tutti i casi di situazioni complicate, siano prese dal governo e, in particolare, dal ministero della Difesa. In questo caso, invece, pare che sia stato l’armatore a prendere le decisione di abbandonare le acque internazionali e condurre la nave al porto di Kochi».