Questa volta, le trattative non hanno consentito di giungere a un lieto epilogo e un nostro connazionale è morto. Si chiamava Franco Lamolinara, faceva l’ingegnere e, assieme al collega britannico Cristopher McManus, era stato rapito il 12 maggio scorso a Birkin Kebin, in Nigeria. A ucciderlo pare siano stati i sequestratori, dopo che le forze di sicurezza nigeriane e le teste di cuoio britanniche avevano tentato un blitz per liberarlo. Le autorità italiane, dal momento del sequestro, avevano seguito passo dopo passo la vicenda. A poche ore dall’incursione, comunica Palazzo Chigi, la situazione era precipitata a tal punto da non poter agire altrimenti. L’iniziativa, tuttavia, era stata condotta in maniera autonoma, senza che il governo italiano ne fosse messo a conoscenza, se non a operazione avviata. In tal senso il presidente del Copasir, Massimo D’Alema, ha fatto sapere che l’organismo cercherà di far «piena luce sui motivi per cui il governo britannico non abbia informato il nostro». Nel frattempo, abbiamo chiesto un commento ad Andrea Margelletti (CeSI).
Che idea si è fatto della dinamica della tragedia?
L’operazione di liberazione degli ostaggi avviene solo ed esclusivamente quando le trattative giungono a un punto morto; quando, cioè, si hanno notizie di intelligence tali da ritenere ragionevolmente che la vita dei rapiti sia in imminente pericolo; questione di ore, quindi. In questo caso i governi coinvolti si consultano e stabiliscono di agire. E’ la tipica dinamica osservata da ogni nazione.
Eppure, in questo caso, il nostro governo non è stato avvertito.
Di norma, si tratta di operazioni che si effettuano esclusivamente con il consenso dei governi. Solitamente, i governi interessati sono messi a conoscenza di quanto sta per avvenire. Tanto più se, come in questo caso, si tratta di Stati amici.
In cosa consistono le trattative?
Ogni volta che c’è un rapimento, si avvia una mediazione ove i riscatti, quasi sempre, vengono pagati. Non necessariamente in termini di denaro; ma, ad esempio, di aiuti umanitari, supporto politico, scambio di prigionieri, o portando le istanze del gruppo di rapitori al governo locale.
Il nostro ordinamento consente trattative di questo genere o avvengono in zone d’ombra extragiudiziarie?
Non stiamo parlando di rapporti tra Stati, ma tra Stati e organizzazioni criminali; non possiamo discuterne, quindi, nei termini di un colloquio tra ambasciatori. E’ fondamentale, ovviamente, che la trattativa non contrasti con gli interessi del governo locale, né ledere i nostri interessi nazionali.
Chi le conduce?
I servizi di intelligence.
Cosa fanno, esattamente?
I nostri servizi segreti hanno una lunga tradizione di successo, essendo sempre riusciti a liberare pressoché tutti gli ostaggi italiani rapiti nel corso degli anni. E’ evidente che, di conseguenza, il loro mestiere lo sappiano fare molto bene. Se il metodo funziona, non credo sia loro interesse, né tantomeno del Paese o di altri eventuali ostaggi, render noto al grande pubblico come agiscono e che metodi adottano.
Perché, dopo che è stato rapito, non si è più parlato di Franco Lamolinara?
La stampa fa il proprio mestiere. Si occupa di alcune situazioni nel momento in cui esiste l’avvenimento. Se per tre o quattro mesi non avviene nulla, non si possono scrivere ogni giorno 40 righe su una non-notizia. Sta di fatto che, nel frattempo, il nostro governo e i nostri servizi hanno continuato incessantemente ad adoperarsi per la sua liberazione.
Chi sono rapitori?
Dovrebbe trattarsi di una realtà locale, non direttamente correlata ad Al Qaeda, con forti interessi economici. Ci sono aree del Paese dove la presenza dello Stato non riesce a imporsi e, in molte vicende analoghe di rapimenti, la differenza tra terroristi e briganti o predoni non è apparsa per nulla netta, in un mescolamento di interessi economici, politici e ideologici.
(Paolo Nessi)