Gli addebiti a carico dei nostri marò si appesantiscono. E’ ufficiale: sono stati loro a sparare. Lo ha stabilito la polizia scientifica di Trivandrum, individuando i due fucili Beretta da dove sarebbero partiti i colpi. Il fatto che sia ufficiale, ovviamente, non significa che sia vero. Se, tuttavia, tali distinzioni avessero una qualche valenza non si porrebbe il problema di dover lottare per far valere il diritto internazionale. L’India, infatti, lo ha ignorato in almeno tre circostanze: l’Enrica Lexie, dalla quale Massimiliano Latorre e Salvatore Girone avrebbero ucciso due pescatori scambiandoli per pirati, al momento del fatto contestato si trovava in acque internazionali, fuori dalla giurisdizione indiana; la nave, inoltre, batteva bandiera italiana, come italiana, di conseguenza, sarebbe dovuta essere la legge cui sottoporre le persone a bordo; infine, le azioni dei militari di un qualunque stato straniero compiute nell’esercizio delle proprie funzioni vanno imputate allo Stato stesso. Qualcosa, invece, è andato storto. Parla Carlo Culti Gialdino, esperto di diritto internazionale.
Perché gli eventi stanno assumendo una piega sempre più sfavorevole?
Tutto ha avuto inizio quando, con un’operazione azzardata, la nave è entrata in acque indiane quando avrebbe dovuto restare in acque internazionali e, eventualmente, avvicinarsi alla nave Nato più vicina. Del resto se, come sembra, al momento del presunto incidente, era in acque internazionali, sarebbe stato del tutto pacifico che la giurisdizione fosse radicata sulla legge della bandiera. Tant’è vero che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma ha aperto un procedimento penale nei confronti dei marò.
E’ un atto dovuto?
Sì, perché la notitia criminis è pervenuta alle autorità giurisdizionali italiane che, pertanto, devono aprire un fascicolo e indagare per verificare se il fatto sussista o meno e se si tratti di legittima difesa.
Cosa ci resta da fare?
Non possiamo fare altro che attendere che la giustizia indiana riconosca il principio tale per cui un distaccamento di lagunari della Marina su una nave mercantile rappresenta un organo dello Stato italiano all’estero. Che gode, quindi, dell’immunità rispetto alla giurisdizione indiana.
E se, alla fine, non dovesse riconoscerlo?
A quel punto, all’Italia non resta che aprire un procedimento analogo a quello aperto dalla Germania nei nostri confronti quando le sentenze di diversi tribunali confermate dalla Cassazione condannarono la Repubblica federale tedesca per i crimini di guerra commessi dagli ufficiali tedeschi nel nostro Paese. Addirittura, autorizzammo azioni risarcitorie con la possibilità di rivalerci nei confronti dei patrimoni tedeschi in Italia. Ebbene: la Germania ha aperto una controversia di fronte alla Corte internazionale di Giustizia che ci ha condannato per violazione del diritto internazionale. In ogni caso, per poterci rivolgere alla Corte, sarà necessario attendere che la giustizia indiana si esprima con una sentenza passata in giudicato.
E per quanto riguarda la decisione riguardo a chi spetta la giurisdizione?
Non esistono istituti giuridici in grado di stabilirla paragonabili alla Sezioni Unite della Cassazione, che in Italia possono intervenire quando è necessario definire se la competenza spetti, ad esempio, al giudice amministrativo o al giudice civile.
L’ex ministro Franco Frattini, su queste pagine, ha sottolineato la necessità di europeizzare la crisi, indicando nel Consiglio europeo e nel Dipartimento giustizia della Commissione i soggetti maggiormente idonei a seguire la vicenda.
Credo che, eventualmente, l’organo europeo competente per intraprendere un’azione nell’interesse comunitario sia, caso mai, l’Alto Rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton.
Di recente, in effetti, ha detto che l’Europa farà la sua parte.
E’ presumibile che, siccome l’Alto Rappresentante non agisce, in questi casi, d’ufficio, si sia mossa su esplicita richiesta del governo italiano. Tuttavia, anche lei non può fare altro che agire a livello diplomatico. Anche le eventuali sanzioni, tuttavia, potrebbero essere ipotizzate solamente una volta emanata una sentenza passata in giudicato.
Quante probabilità ci sono che questa strada sia intrapresa?
Pochissime. Ci sono troppi interessi economici in ballo per imporre all’India della sanzioni.
Crede che, a livello diplomatico, si stiano compiendo tutti i passi necessari?
Il ministro degli Esteri e il sottosegretario De Mistura hanno fatto, per anni, rispettivamente l’ambasciatore a Washington e il mediatore per conto della Nazioni Unite in tutte le situazioni più delicate. A livello politico credo che non potremmo essere maggiormente tutelati.
Quali sono le sue previsioni?
Temo che gli organi giurisdizionali indiani andranno fino in fondo. Del resto, quando i piloti americani recisero le funi della funivia del Cermis, causando la morte di 20 persone, a poco valsero la pressioni del Dipartimento di Stato americano. La giustizia italiana fece il suo corso, stabilendo infine che i piloti godevano dell’immunità e andavano processati negli Usa.
Dovremmo avere facoltà di inviare i nostri esperti della scientifica?
Non credo che gli esperti americani abbiano mai potuto partecipare ad indagini relative a cittadini Usa processati in Italia, come nel caso Meredith, ad esempio. Anche in questo caso non ci troviamo di certo di fronte ad una commissione d’inchiesta bilaterale.
(Paolo Nessi)