Due scosse di terremoto da 8,6 e 8,2 gradi della scala Richter hanno seminato il terrore in tutti gli Stati che si affacciano sull’Oceano Indiano. Memori dello tsunami del 26 dicembre 2004, provocato da un terremoto di 9,1 gradi, i residenti delle coste hanno temuto che si ripetesse la strage che costò la vita a 228mila persone. Così non è stato, in quando l’onda anomala è stata limitata a un metro di altezza a Banda Aceh in Indonesia, particolarmente provata dal maremoto di otto anni fa, e a Simeulue, a sua volta colpita da un forte terremoto il 28 marzo 2005. Ilsussidiario.net ha contattato Franco Cavaliere, dal 2004 al 2011 console a Phuket in Thailandia, dove si contarono 6.400 morti. Il diplomatico, che si trova ancora sull’isola, racconta che dopo la prima scossa le persone sono fuggite in collina, ma il panico è esploso con la seconda scossa al grido di “Arriva lo tsunami”. Cavaliere ripercorre inoltre come Phuket è risorta dopo le distruzioni di otto anni fa.



Cavaliere, ci racconti che cosa è avvenuto ieri a Phuket …

Abbiamo avvertito due scosse di terremoto entrambe piuttosto forti. La prima, alle 10.38 ora italiana, è stata quella che ha dato origine all’allerta tsunami, e poi alle 12.43 c’è stata una seconda scossa di circa la stessa intensità. In entrambi i casi non hanno però avuto conseguenze sugli edifici. C’è stato però molto panico. Nel 2004 a Phi Phi Island, dopo lo tsunami mancava tutto e a un certo punto attraccò una barca carica di bottiglie di acqua potabile. Qualcuno sulla spiaggia iniziò a gridare “Arriva l’acqua, arriva l’acqua”, provocando il fuggi fuggi generale verso le colline. Ieri pomeriggio si è ripetuta una situazione simile. Appena è arrivata la prima scossa ed è scattato l’allerta tsunami, tutti quanti a Phi Phi Island sono saliti in collina, per il timore che si ripetesse l’onda anomala di otto anni fa. Quando l’allarme è rientrato sono scesi e, con la seconda scossa, qualcuno ha gridato “Arriva lo tsunami”, e tutti gli abitanti in preda al panico si sono riparati di nuovo sulle colline.



Lei si è trovato a gestire l’emergenza dello tsunami del 2004. Che cosa ricorda di quei giorni?

Mi trovavo da poco sull’isola e nel novembre 2004 l’ambasciatore italiano in Indonesia mi chiese se ero disponibile a ricoprire il ruolo di console, rassicurandomi: “Vedrà che sarà tutto molto tranquillo”. Accettai, e un mese più tardi si scatenò lo tsunami, che solo sull’isola provocò 6.400 morti. Ben 37 nazioni inviarono a Phuket dei loro responsabili per gestire la situazione d’emergenza. L’Italia inviò persone di notevole spessore, incluso Claudio Taffuri che attualmente è il capo dell’unità di crisi della Farnesina. La fase più “calda” fu dal 26 dicembre, quando si verificò l’onda anomala, al 3 gennaio quando partì l’ultimo aereo diretto in Italia con a bordo i nostri connazionali presenti sull’isola.



 

Quali furono in quei giorni i compiti che si trovò a gestire?

 

I nostri compiti erano innanzitutto di natura logistica. Cercavamo inoltre di tenere i contatti con le persone del posto. In quelle circostanze, uno degli aspetti più difficili da gestire è quello “umano”, che si riflette su tutti gli aspetti dell’organizzazione, in quanto di fronte a un’emergenza di quelle proporzioni emergono tutti gli aspetti meno nobili dell’animo delle persone. In attesa di fare partire il primo aereo per l’Italia, era stato allestito un punto di ritrovo a Patong (la periferia Ovest di Phuket, Ndr), con navetta per l’aeroporto che si trova a circa 40 chilometri. Malati, feriti e quanti avevano perso bagaglio o documenti erano tutti concentrati là. Quanti invece non avevano nessun problema erano tutti convenuti direttamente all’aeroporto. In una situazione così difficile, la nostra priorità era seguire i feriti. Arrivato all’aeroporto verso le 19, ricordo che fui aggredito da una cinquantina di miei connazionali che subito mi accusarono di non averli assistiti adeguatamente. Poiché non si sapeva esattamente quante persone avrebbero potuto prendere l’aereo, alcuni pur essendo sani si erano fatti prestare la giacca dai malati dell’ospedale per salire a bordo prima degli altri.

 

In che modo Phuket è riuscita a rinascere dopo lo tsunami?

Nel 2004 fino a 200 metri dalla spiaggia Patong fu completamente distrutta. Arrivò l’onda anomala e abbatté tutte i muri che si trovò di fronte, lasciando in piedi solo quelli che erano perpendicolari. C’erano ovunque macerie e macchine distrutte. Il 21 gennaio 2005 Gianfranco Fini, all’epoca ministro degli Esteri, venne in visita a Phuket. Ricordo che non c’era a terra un calcinaccio, tutto era perfettamente pulito. Nel dicembre dello stesso anno, un turista che veniva a Phuket non aveva il minimo sentore di quanto era avvenuto dodici mesi prima. Tutto era stato ricostruito, in condizioni migliori di com’era prima che fosse abbattuto, con una velocità incredibile.

 

E come è stata possibile una ricostruzione così rapida?

 

Qui la popolazione è prevalentemente buddista, e ha quindi un punto di vista molto diverso nell’affrontare le situazioni violente e negative della vita. Per la loro religione, se una persona compie degli atti moralmente sbagliati le si ritorcono contro o in un questa vita o in quella successiva dopo la reincarnazione. Quando accade qualche cosa di negativo, la prima cosa che pensa un buddhista è: “Chissà che cosa ho fatto di male nella mia vita precedente?”. Nello stesso tempo, è convinto del fatto che se reagisce bene può cancellare quella negatività che si era creato, e quindi si ripulisce la coscienza per una successiva vita che sarà decisamente migliore. Di fronte a una catastrofe, un buddhista quindi non protesta, ma si rimbocca le maniche perché è convinto di stare risolvendo un suo problema generato da un’azione compiuta nella vita precedente.

 

(Pietro Vernizzi)