La Casa Bianca ha glissato, preferendo non rivelare che cosa si sia detta con la delegazione dei Fratelli musulmani che ha ricevuto negli Usa. Ma è un fatto che i colloqui sono avvenuti, e non dovrebbe neanche stupire se si pensa che, come sottolinea Vittorio Emanuele Parsi, esperto di politica internazionale, da anni gli Stati Uniti finanziano il principale movimento islamista egiziano. Che non è certo né liberale né disposto a separare religione e politica, ma è il cavallo vincente su cui Washington ha puntato da tempo senza molte probabilità di sbagliare. Anche il premier italiano Mario Monti si è mostrato intenzionato a stabilire delle relazioni con la futura classe dirigente egiziana: lo dimostra il suo recente viaggio in Egitto. In quella occasione, Khairat el-Shater, candidato dei Fratelli musulmani alle elezioni presidenziali di maggio, ha dichiarato: “Il previsto incontro in Egitto tra il presidente del Consiglio italiano, Mario Monti, e il leader dei Fratelli musulmani è un’occasione per ricostruire il dialogo e la fiducia tra le forze politiche egiziane e i nostri vicini del Mediterraneo”. A fronteggiarsi in vista delle presidenziali di maggio in Egitto sono del resto tre esponenti islamisti: lo stesso el-Shater, candidato ufficiale di Libertà e Giustizia, espressione dei Fratelli musulmani; Abu-Ismail, del partito Al Nour legato alla formazione ultrareligiosa dei salafiti; Abul-Fotouh, a sua volta proveniente dai Fratelli musulmani.



Qual è stato il significato politico della missione dei Fratelli musulmani negli Stati Uniti?

Preparare la politica estera del nuovo presidente egiziano che i Fratelli musulmani contano di riuscire a eleggere tra le loro fila. Per comprendere le ragioni di questo viaggio, occorre tenere conto del fatto che la situazione in Egitto è totalmente incentrata su due triangolazioni essenziali. Una è tra Fratelli musulmani egiziani, Forze armate egiziane e Stati Uniti. La seconda è tra la Fratellanza, l’Arabia Saudita e gli Usa.



Può spiegare le ragioni di queste alleanze?

Nascono dalla profonda polarizzazione dell’universo musulmano tra sunniti e sciiti. I Fratelli musulmani sono una formazione radicalmente religiosa di tipo sunnita, mentre l’altro principale attore dell’area, l’Iran, è sciita. Non potendo allearsi con l’Iran, gli islamisti egiziani sono “costretti” a stabilire ottimi rapporti con gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita.

Gli Usa hanno ricevuto i Fratelli musulmani perché intendono parlare con tutti i partiti egiziani, o tra loro c’è un’intesa più profonda?

Gli Stati Uniti finanziano da anni i Fratelli musulmani. Sanno che sono il cavallo vincente, perché la società egiziana è una delle più conservatrici del mondo arabo. Fin dall’inizio era scontato che quando si fosse votato avrebbero vinto i partiti islamisti. L’alternativa ai Fratelli musulmani del resto sono i salafiti, una formazione ancora più estremista, mentre i liberali sono una minoranza concentrata in alcuni ambienti ma socialmente molto rarefatta. La mappa del potere in Egitto si divide quindi tra i militari, ancora legati all’ex Partito Nazionale Democratico di Mubarak, i Fratelli musulmani, che hanno il pregio di essere un partito interclassista, e i salafiti che sono molto più radicali.



 

In che modo è possibile tenere a bada la minaccia dei salafiti?

 

L’esperienza europea degli anni 60 ci insegna che l’unico modo per ridimensionare i partiti comunisti è stato attraverso i partiti socialisti, e non certo grazie ai conservatori che non pescavano voti nel bacino degli elettori di sinistra. Allo stesso modo, nella piattaforma dei partiti islamisti egiziani occorre appoggiarsi su un partito musulmano un po’ meno radicale. E’ esattamente il ragionamento che hanno fatto nelle stanze della Casa Bianca.

 

I rapporti con gli Stati Uniti possono davvero portare i Fratelli musulmani a diventare un partito “istituzionale” e a perdere la loro radicalità?

 

Sì. I Fratelli musulmani esprimono i sentimenti e gli umori profondi della società egiziana, che non è affatto né laica né liberale. Una vittoria del Partito Giustizia e Libertà non stravolgerà certo la situazione del Paese, né le farà compiere dei drastici passi indietro. I Fratelli musulmani una volta al potere corrono meno il rischio di diventare una forza oscurantista rispetto ai salafiti. Chiunque guarda all’Egitto può auspicare tutt’al più che possa essere salvaguardata quella certa laicità delle istituzioni che è un’eredità di Sadat e di Mubarak.

 

In questo modo i Fratelli musulmani potrebbero arrivare a rompere con i salafiti?

Stanno già conducendo una lotta con i salafiti, e hanno dichiarato che preferiscono allearsi con i liberali piuttosto che con loro. Al-Nour è un competitore diretto del Partito Libertà e Giustizia: l’uno costituisce una minaccia per l’altro perché pesca nel suo stesso bacino di voti.

 

Lei prima ha fatto il paragone con i partiti socialista e comunista, l’uno più moderato e l’altro più oltranzista. Fatte le debite differenze, a quale dei due assomigliano di più i Fratelli musulmani?

 

Dipende da come li si collocano storicamente: agli inizi del 900 i socialisti non erano certo moderati. I Fratelli musulmani sono un partito che emerge da una clandestinità relativa in Egitto e da una clandestinità totale in altri Paesi. Questa emersione li può portare a essere una forza che evolve verso una direzione meno settaria, perché il dibattito politico pubblico spinge a trovare delle soluzioni di mediazione. In questo senso Giustizia e Libertà può seguire la stessa parabola dei partiti della sinistra europea nel corso del 900. Come questi ultimi si sono via via evoluti verso posizioni più moderate, prima i socialisti e poi i comunisti hanno sempre avuto il problema di lottare contro forze che restavano massimaliste. E’ lo stesso che accadrà probabilmente anche ai partiti islamisti in Egitto.

 

(Pietro Vernizzi)