Un bel gruppo di deputati (oltre al qui scrivente, ci sono Maurizio Lupi e Mariastella Gelmini e altri 40) si è lasciato toccare da un’icona moderna. Un vescovo vestito dei suoi paramenti che sfida un blocco militare. Chiede di passare per dir messa. Accade nel Mediterraneo, a Cipro. In quasi cinquanta abbiamo sottoscritto un’interrogazione in cui chiediamo al Governo Monti di intervenire, secondo tutta la forza della diplomazia e della nostra autorevolezza, presso il governo turco perché sia tutelata la libertà religiosa almeno in quel caso, un caso singolo, ma essenziale come ogni vicenda che riguardi una persona ingiustamente offesa e la sua comunità.
L’immagine è strana. Un vescovo con la grande barba bianca che blocca con quattro suoi preti un check-point di militari che gli dicono: “Alt! Lei sarà anche il vescovo di questa diocesi ma è sulla nostra lista, e non passa”. Accade a Cipro, nella penisola di Carpasia, occupata illegalmente dai turchi sin dal 1974. Il vescovo greco-ortodosso si chiama Christoforos ed è stato eletto dal Sacro Sinodo sulla cattedra antica di Carpasia.
Invano ha provato a raggiungere la sua comunità almeno per le celebrazioni della Pasqua (quella ortodossa è 15 giorni dopo quella cattolica), così, secondo quanto riferisce il “Cyprus Mail” del 12 aprile, il vescovo greco-ortodosso Christoforos, visto che non lo facevano passare, si è messo piazzato lì, bloccando pacificamente il flusso del traffico. La cosa ancora più strana è che non ha raccolto maledizioni dagli automobilisti, ma solidarietà generalizzata, anche dai lavoratori musulmani. Ha detto Christoforos: “Sono qui per richiedere il diritto di stare con la mia comunità come vescovo. Io non sono un politico, io sono un vescovo. Io sono padre spirituale di queste persone e la mia anima soffre. Ho un sacro obbligo di essere con loro”.
Christoforos non ne può più di lasciare orfano il suo gregge. “Nessuno mi sta ascoltando. Mi sono rivolto al governo, all’ONU, all’Unione europea, alle ambasciate, ai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Ho chiesto un incontro con il Signor (Dervis) Eroglu (leader turco-cipriota) per risolvere il problema e nessuno mi può aiutare”.
“La Pasqua è alle porte e non so cos’altro dovrei fare per essere sentito… Come Vescovo di Carpasia voglio essere guida spirituale di queste persone che rimangono lì, questo è tutto, niente di più, niente di meno”, ha aggiunto. Questa è l’ultima protesta attuata dall’alto prelato, che ha il consenso – secondo il “Cyprus Mail” – della popolazione e anche dei sindacati turco-ciprioti.
Il ministro degli affari esteri della repubblica di Cipro ha fatto giungere dovunque “il suo rammarico per le continue violazioni delle libertà religiose e di movimento nei territori occupati nella repubblica di Cipro e per le restrizioni imposte a sua grazia Vescovo di Carpasia Cristoforo”. Abbiamo scritto nella interrogazione che questa situazione dura da anni e si è trasformata in una violazione formale il 12 marzo scorso quando il regime di occupazione ha informato il vescovo Cristoforo di Carpasia di essere stato posto in una “stop list”, e che gli era vietato visitare l’area occupata incluso il vescovato e la sua comunità.
Il vescovo Cristoforo è stato eletto dal Sacro Sinodo come primo vescovo dalla Chiesa autocefala dopo il ripristino del vescovato il 22 maggio 2007. Da allora gli è stato permesso di celebrare la liturgia nelle chiese del vescovato soltanto tre volte. Dal novembre 2008 il regime di occupazione ha respinto le sue numerose richieste di celebrare nei territori occupati di Rizokarpaso, Ayia Triada e nel Monastero di Andrea Apostolo. La più recente negazione del suo diritto di vescovo, prima di essere incluso nella stop-list, era stata il 30/11/2011 nella ricorrenza di Andrea Apostolo, uno dei giorni più sacri per i cristiani di Cipro. Durante la sua visita a Carpasia è stato strettamente seguito e videoregistrato dalla cosiddetta “polizia” del regime occupato, anche quando ha visitato i “confinati” greco ortodossi nelle proprie abitazioni.
Abbiamo scritto: “è noto che dal 1974 Carpasia è sotto l’occupazione militare illegittima turca. I greci ciprioti desiderosi di stare nei propri luoghi nativi nella penisola di Carpasia hanno dovuto costantemente sopportare le angherie del regime occupante. La deplorevole situazione di vita dei greci ciprioti di fatto reclusi nelle aree occupate è evidente dalla semplice evidenza dei numeri: da 20.000 che erano nel settembre 1974 oggi sono residenti 338 greci e 111 maroniti”.
In passato avevo visto la vicina Famagosta (che sta a qualche decina di chilometri). Che cosa hanno fatto i turchi alla Cipro cristiana e al suo scrigno vivente di memoria e cultura, non si riesce a descrivere. Dal 1974 tengono Famagosta sotto occupazione, in tutto dominano illegalmente il 37 per cento dell’isola, la terza del Mediterraneo (sotto il nome di Repubblica Turca di Cipro Nord). Almeno la occupassero soltanto. Hanno fatto sparire 1.600 e rotte persone, di cui nulla più si sa: assassinate, incarcerate, mummificate. Come in Argentina, ma non è di moda parlarne. Hanno cacciato dalle loro case e dalle loro terre chiunque non fosse musulmano e turco. Dopo di che hanno distrutto le chiese cristiane, ridotte a latrine per i cani o trasformate in moschee, i cimiteri hanno le croci spezzate. I monasteri hanno avuto la buona sorte di essere tramutati in hotel di lusso.
Famagosta però è il peggio del peggio. Sono giunto ai suoi confini nel pomeriggio. Eravamo una quindicina di parlamentari del Consiglio d’Europa, commissione per i diritti umani. Non c’era il visto per attraversare il confine, nonostante la Turchia faccia parte del Consiglio d’Europa (che è più grande dell’Unione Europea e comprende 47 Paesi compresa la Russia, la Georgia e la Svizzera, ed è l’istituzione che tratta di solito a pesci in faccia l’Italia a proposito di diritti umani di cui è custode). I parlamentari turchi non avevano voluto presenziare all’incontro di Limassol per ascoltare testimonianze sulle sparizioni. È scomodo per loro, meglio chiudere gli occhi propri e altrui. Fingere di non sapere. Per evitare complicazioni con la Turchia non è venuto nessun rappresentante dei cosiddetti grandi Paesi europei. Né Francia né Gran Bretagna né Germania né Spagna.
Gli svizzeri sempre presenti quando si tratta di far le pulci all’Italia, assentissimi. C’erano un pugnace irlandese, un colto monegasco, un paio di polacchi, un finlandese, una bulgara, un lituano e pochi altri. L’Italia era l’unico grande Paese. C’erano i rappresentanti dei turco-ciprioti però: e sorpresa hanno mostrato anch’essi di non sopportare più il giogo turco. Hanno denunciato le precedenti vessazioni subite negli anni 60 dai greco-ciprioti. Si capisce che c’è volontà di mettersi d’accordo. Ma la Turchia ha mire più grandi. Non vuole la riconciliazione, ma tenere ben divisa Cipro, trampolino verso l’Europa, e paradossalmente come arma di penetrazione in Europa.
Funziona così. La Turchia dopo aver preso possesso di un terzo di Cipro ne ha cacciato i cristiani. Poi che ha fatto? Ha trasformato la pseudo-repubblica turca di Cipro del Nord in una terra di coloni. In tutto Cipro contava nel 1974 600mila abitanti, di cui l’80 per cento greco-ortodossi. Ora sono circa 750mila. Ma di essi i nuovi arrivati turchi sono circa 200mila.
Il governo di Ankara trasferisce a Cipro dall’Anatolia uomini che abbiano fatto il servizio militare, promette i benefici conseguenti agli aiuti dell’Unione europea ai turco-ciprioti, la cittadinanza della pseudo-repubblica, ma la prospettiva è di essere europei, con i diritti all’emigrazione.
La furbizia non è temeraria. Ha buone ragioni di essere portata a compimento: Cipro dal 2004 è parte integrante dell’Unione Europea. Essendo impossibile la cacciata dell’esercito turco, la via di pacificazione ragionevole passa per una riunificazione del tipo confederazione che consentirebbe in pratica alla Turchia di avere subito un ingresso in Europa… La prepotenza paga sempre, a quanto pare. Anche perché i ciprioti cristiani si sono comportati appunto come cristiani con i loro fratelli espulsi dai turchi. Non li hanno piazzati in campi profughi, non li hanno “palestinizzati” come hanno fatto i Paesi arabi con i sudditi di Arafat per sfruttarli in chiave ricattatoria. Li hanno integrati, e oggi Cipro greca-ortodossa è florida.
Oggi la vicenda di Christoforos è un buon motivo per premere sull’attuale leadership turca. Che fare? Chiedere la libertà religiosa senza esitazione.
Ovvio: non si può imputare all’attuale premier Erdogan la colpa dei predecessori. Però dobbiamo ricordare che c’è un Tibet vicino a casa nostra. Una Cina dei diritti umani a poche miglia dall’Italia. Essere ciechi non conviene a nessuno. Non c’è bisogno di dichiarare guerra a nessuno, ci mancherebbe. Ma almeno trattare con forza, non farsi prendere almeno per il naso. C’è di mezzo non l’astrazione di principi, ma la pratica offesa a ciò che noi siamo nel profondo: europei e cristiani.
E dire che Cipro è così bella, qui nacque Venere Afrodite, dalla spuma del mare che sbatte sulle rocce e sembra gridare anche lui.