A Kabul, d’un tratto, è tornato l’inferno. Gli estremisti islamici hanno sferrato simultaneamente almeno otto attacchi, mettendo a ferro e fuoco diversi gangli vitali della città. Hanno tentato di entrare in Parlamento e colpito il compound del presidente Karzai, gli hotel Kabul Star e Serena e numerosi edifici tra cui un supermercato; sette esplosioni, inoltre, sono state udite nel blindatissimo quartiere ove risiedono le ambasciate. Pare che dei razzi abbiano centrato quella russa e quella tedesca. E’ stato preso d’assalto pure il centro Isaf Camp Warehouse (10 chilometri a est della Capitale) e l’aeroporto di Jalalabad; per il momento, il bilancio è di 16 morti, tra civili, poliziotti e kamikaze. Zabiullah Mujahid, portavoce dei talebani, si è intestato la responsabilità degli attentati. Attribuendone, tuttavia, la colpa agli americani. Ha spiegato, infatti, che la domenica di sangue ha rappresentato la vendetta per il rogo dei Corani nella basi Nato. Abbiamo chiesto a Gianni Riotta come interpretare la vicenda.
Da cosa dipendeno gli attacchi di ieri?
Erano rivolti all’opinione pubblica americana e a quella europea, con l’intenzione di convincerle dell’inutilità della guerra e dell’impossibilità di vincerla. I talebani pensano, così, di spingere i paesi coinvolti a ritirare le truppe. Non è un caso che un tale dispiegamento di forze avvenga proprio nel pieno delle campagna elettorale francese e di quelle americana; l’anno prossimo, inoltre, ci saranno le elezioni in Italia e in Germania. Si tratta di atti paragonabili all’offensiva del Tet del ’68, in Vietnam; militarmente, fu una sconfitta clamorosa. Politicamente, una vittoria straordinaria.
L’intento di incrinare le opinioni pubbliche è stato raggiunto?
In Europa, direi di sì. Gli europei, stanno, infatti, per ritirarsi. Sul fronte americano, anche chi non è annoverabile tra le “colombe” è molto cupo. Il presidente del Council on Foreign Relations, Richard Haass, mi ha rivelato, in un’intervista per La Stampa, di essere molto pessimista rispetto al futuro del Paese. Così come, del resto, il cittadino medio americano è decisamente scettico sull’ipotesi di vittoria.
Conclusa l’epoca Bush, gli Usa hanno ancora interesse a rimanere in Afghanistan?
Di sicuro, Obama è persuaso del fatto che uno dei fronti principali della guerra al terrorismo. Tant’è vero che ha ritirato le truppe dell’Iraq, aumentando gli stanziamenti in Afghanistan. Questo, del resto, è sempre stato l’orientamento prevalente tra i Democratici.
Non crede che lasciare il Paese, semplicemente, potrebbe rappresentare una figuraccia?
Le figuracce, in politica internazionale, contano zero. I francesi fecero una figuraccia andandosene da Dien Bien Phu nel’54, gli inglesi andandosene da Suez nel ’57, gli Usa da Saigon nel ’75; non è mai stato, insomma, un problema.
I talebani hanno dichiarato che gli attacchi rappresentano una ritorsione per il rogo dei Corani nella base Nato.
Di sicuro, quell’episodio rappresentò un errore. E ancora di più l’averlo lasciato trapelare. Tuttavia, se nessun Corano fosse stato bruciato, non sarebbe cambiato nulla. Quando i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan, nessuno aveva recato alcuna offesa all’islam. Non hanno bisogno di scuse per essere feroci.
Crede possibile il coinvolgimento delle etnie locali nella normalizzazione dell’area?
I capi tribù e i capi clan Pashtun non considerano cambiare le alleanze un male. Si muovono a seconda della convenienza, accordandosi con chi ha più probabilità di vittoria.
In ogni caso, come sta procedendo la stabilizzazione dell’Afghanistan?
Bene in alcune aree. Molto male in altre.
C’è il rischio effettivo che i talebani riescano ad assumere il potere?
Sì, c’è. Se le truppe internazionali si ritirano, molto difficilmente quelle locali riusciranno a resistere.
Cosa accadrebbe in quel caso?
Tornerebbe una situazione precedente al 2001: zero diritti per le donne, scuole chiuse, assenza di qualsivoglia libertà di culto. E il terrorismo troverebbe nuova linfa. Tuttavia, da questo punto di vista, è ancora più preoccupante la situazione in Pakistan. E’ dotato, infatti, di armi nucleari che potrebbero facilmente cadere in mano ai terroristi.
Come valuta la posizione attuale dell’Italia rispetto alla nostra presenza in Afghanistan e alla lotta al terrorismo?
Stiamo mantenendo gli impegni, mentre i nostri militari stanno lavorando benissimo. La nostra capacità di peacekeeping, ormai da 20 anni è apprezzata ovunque. La collaborazione tra esercito americano e i nostri carabinieri assume spesso dinamiche estremamente virtuose.
(Paolo Nessi)