E’ tutto rinviato a oggi. La corte di Kerala infatti dovrebbe esprimersi sul ricorso presentato dall’Italia rispetto al caso dei fucilieri del Reggimento San Marco, Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, accusati di aver ucciso due pescatori indiani scambiandoli per pirati. La petroliera Enrica Lexie, al momento del fatto contestato, si trovava in acque internazionali. Secondo i difensori dei due marò, quindi, valgono le norme del diritto internazionale che prevedono di affidare la giurisdizione del caso alla Stato di cui la nave batteva bandiera, l’Italia. Secondo altre fonti, tuttavia, oggi il tribunale indiano si limiterà ad acquisire la memoria difensiva dei legali dei marò, e rinvierà la decisione in merito a dove si terrà il processo a loro carico a data da destinarsi. Comunque stiano le cose, ilSussidiario.net ha chiesto ad Annalisa Ciampi, professore associato di Diritto internazionale nell’Università di Verona, un parere sulla vicenda.



E’ così scontato che la giurisdizione spetti all’Italia? «La giurisdizione – spiega -, in prima battuta, la decide lo Stato che ha in mano i responsabili da giudicare, a prescindere dal luogo ove è avvenuto il crimine». Si capisce perché, in molti, stiano auspicando una soluzione “cordiale”. «Siccome l’India ha deciso di non concedere l’estradizione, e dato che il diritto internazionale non impone una soluzione alternativa, effettivamente, a questo punto, non resta che sperare in una soluzione amicale». Il problema, tanto per cominciare, è che per la generalità del crimine imputato non esiste un ente sovranazionale preposto a giudicare: «Per certi crimini esistono delle norme internazionali che coordinano l’esercizio della giurisdizione da parte degli Stati, stabilendo delle priorità e degli obblighi di estradizione. Abbiamo singole convenzioni su singole attività criminose, come il dirottamente aereo, la presa di ostaggi, il genocidio o i crimini di guerra. Al di fuori di queste ipotesi, i rapporti sono regolati da accordi bilaterali eventualmente basati sull’esistenza di un trattato di estradizione». Ebbene: «i casi in cui istituzioni come la Corte penale internazionale giudicano su attività individuali sono del tutto eccezionali. E il crimine, in questo caso, è di diritto comune. Non ricade, quindi, nell’ambito di nessuna disciplina internazionale su crimini internazionali».



Nello specifico, l’Italia può vantare ben poche pretese: «afferma una giurisdizione in virtù del fatto che non si è trattato di un crimine territoriale dell’India, ma che è avvenuto in acque internazionali; sostiene, quindi, che non ci sia una legame così stretto con lo Stato da giustificare un processo in India. Questo, tuttavia, è un argomento utile per rafforzare la richiesta di estradizione, ma non rappresenta una questione dirimente». 

Per intenderci: «Il luogo di commissione del fatto è solamente uno tra i criteri di giurisdizione, seppur primario, comune a tutti gli Stati. Tuttavia, non è l’unico: ce ne possono essere altri, come la nazionalità dell’autore del reato o di chi l’ha subito. Non è detto, quindi, che uno Stato non possa vantare alcuna giurisdizione su crimini avvenuti al di fuori del proprio territorio. Affermare che il fatto non sia avvenuto in India rende meno assoluta la sua pretesa all’esercizio della giurisdizione, ma non la priva di fondamento». Ciampi non è particolarmente ottimista rispetto alla trattative condotte dall’Italia. «Penso al Brasile. Temo che gli esiti, in tal caso, non saranno migliori. Certo, le implicazioni politiche sono minori. Tuttavia, è fortemente messa in gioco l’immagine dei Paesi coinvolti».



Ecco, in particolare, in cosa l’Italia ha sbagliato: «Puntare sul fatto che l’episodio sia avvenuto in acque internazionali, non è un argomento determinante dal punto di vista del diritto. In mancanza di obblighi, era preferibile argomentare la nostra richiesta con ragioni politiche forti, piuttosto che con motivazioni giuridiche non corrette; si sarebbe dovuto, in sostanza, avanzare una richiesta d’estradizione, sottolineandone l’importanza per la nostra opinione pubblica e per il nostro governo». 

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