Un buona notizia. La prima da quel fatidico 15 febbraio, quando i nostri marò, accusati di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati, finirono preda delle controversie della giustizia indiana. Ignorando i principi del diritto internazionale, in virtù dei quali Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sarebbero dovuti essere processati dalla giustizia italiana (si trovavano in acque internazionali,  su una nave battente bandiera italiana ed essendo militari godono dell’immunità), lo Stato indiano del Kerala ha, finora, lasciato intendere che avrebbe giudicato i due fucilieri secondo le proprie leggi. Che prevedono la pena di morte. E sulle decisioni in merito alle quali grava il peso di un’opinione pubblica decisamente avversa ai due italiani. Ebbene, ieri, la Corte suprema di New Delhi ha ammesso il ricorso presentato dall’Italia che denunciava l’incostituzionalità della detenzione dei due marò. La stessa richiesta è stata presentata presso la Corte del Kerala che, tuttavia, non si è ancora espressa. Carlo Curti Gialdino, docente di Diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza, spiega a ilSussidiario.net che lettura dare della vicenda. «Sulla base della Costituzione indiana la difesa italiana ha adito, in via d’urgenza, la Corte Suprema indiana; si tratta di un’istituzione cui sono conferiti poteri costituzionali, analogamente alla Corte suprema americana», fa presente anzitutto. «La Costituzione del ’49, (l’ultima volta è stata modificata nei primi 2000), ricalca in gran parte quella del Dominion indiano degli anni ’30; allora era basata sui rapporti tra la madre patria, il Regno Unito, e un suo Dominion; allora come ora, quindi, non poteva essere altro se non estremamente centralista». La premessa è necessaria per comprendere le successive implicazioni. «Possiamo ritenere ragionevole che, come in tutti gli Stati federali, la Corte suprema indiana interpreti le norme costituzionali, le cui decisioni si dovranno imporre alle Corti degli Stati federati». Ovviamente, è presto per cantare vittoria: «Per il momento, la Corte non ha fatto altro che accettare il ricorso, dichiarandolo ricevibile. E’ cosa ben diversa, tuttavia, dall’essersi espressa in merito, affermando se sia o meno fondato». Nel dettaglio: «la difesa italiana si è appellata agli articoli 14 e alla 21, che attengono i diritti fondamentali dell’individuo. Secondo il 14, lo Stato non può negare a nessuno l’uguaglianza di fronte alla legge e l’uguale protezione del diritto su tutto il territorio indiano; il secondo afferma che nessuno possa essere privato della libertà se non attraverso una procedura fondata sulla costituzione stessa». In tal senso, la violazione del diritto internazionale e dell’immunità funzionale, acquisiscono un peso maggiore.  Oltretutto, dietro una serie di episodi potrebbe esserci una logica precisa. «Non è escluso che ogni singolo atto faccia parte di un più complesso negoziato. Chi si sta occupando della difesa processuale dei marò e le persone incaricate di condurre i negoziati diplomatici, potrebbero aver concordato una sorta di road map». 



Eccone i tratti salienti: «è ipotizzabile che abbiano deciso di riportare la questione di fronte alla Corte suprema per impugnare un’eventuale sentenza favorevole contro una sfavorevole della Stato del Kerala e creare così un precedente; contestualmente, si è deciso di effettuare una donazione nei confronti dei familiari delle vittime, un risarcimento ex gratia, fuori da ogni contesto giuridico; potrebbe trattarsi di una forma extragiudiziale per porre rimedio alla questione. Una volta accettato, tuttavia, difficilmente si potrebbe dare luogo ad ulteriori azioni risarcitorie». C’è, infine, il salvataggio eroico di cui è stato protagonista Lattorre, che fermando un’automobile che stava procedendo in retromarcia con le mani, ha impedito che un reporter che stava per essere travolto avesse la peggio. «Ho letto i reportage indiani e hanno dato alla vicenda parecchio risalto. Di sicuro, la vicenda sta avendo sull’opinione pubblica dei riflessi positivi». 



 

(Paolo Nessi)

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