Passano i giorni e cresce lo scoramento. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, i due marò accusati di aver ucciso due pescatori scambiandoli per pirati, sono ancora in carcere. E ci resteranno ancora 14 giorni. E’ questa l’unica decisione assunta, ieri, da un giudice di Kollam, nello stato indiano di Kerala. Quella più attesa, relativa a chi spetti la giurisdizione del caso, è stata ulteriormente rinviata. Lo stesso capo dello Stato, Giorgio Napolitano, non ha nascosto una certa preoccupazione. Ammettendo che la presa di posizione delle autorità indiane era annoverabile tra le più infauste previsioni, con chi gli chiedeva maggiore determinazione è sbottato: «se qualcun’altro oltre a mettere qualche striscione ha delle idee, aspettiamo di conoscerle…». Come dobbiamo interpretare la situazione? Lo abbiamo chiesto a Enzo Cannizzaro.



Le parole di Napolitano tradiscono l’impotenza dello Stato italiano?

La situazione, effettivamente, è politicamente molto complicata. L’India, purtroppo, è intenzionata ad andare fino in fondo.

Il presidente della Repubblica ha, inoltre, fatto sapere che «c’è stato un passo indietro» rispetto al rilascio dell’Enrica Lexie.



Il trattenimento della nave potrebbe integrare una violazione della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare firmata dagli Stati membri delle Nazioni Unite. Esistono, all’interno della Convenzione Onu, varie procedure di conciliazione o regolamentazione giudiziaria. Il punto è capire se la detenzione della nave sia illegale da tale punto di vista.

Secondo lei lo è?

Questo è più difficile da sostenere. Per esempio, non è stata ottenuta con la forza. La detenzione della nave, quindi, appare conforme alla Convenzione. Il problema è che dal punto di vista del diritto del mare è difficilmente negabile che la giurisdizione indiana non sussista. Trovo, invece, abbastanza inconsueto il trattenimento a tempo indefinito quando, invece, si dovrebbe operare il cosiddetto pronto rilascio. Su questo fronte, tuttavia, ogni intrapresa mi sembrerebbe piuttosto avventurosa.



Che peso dare al primo ministro del Kerala, Oommen Chandy, secondo il quale è scontato il fatto che il processo si terrà in India, anche laddove ricevesse pressioni da New Delhi?

L’India è uno Stato federale, dove gli Stati federati hanno amplissima autonomia. Tuttavia, dal punto di vista del diritto internazionale, tutto ciò che compie un singolo Stato viene attribuito alla Federazione Indiana. Non è escluso che, dal punto di vista politico, siamo in mezzo ad uno scontro tra stato centrale ed organi periferici.

Cosa ci resta da fare?

Non dobbiamo manifestare alcuna acquiescenza e ribadire il diritto italiano di giudicare i propri soldati in missione ufficiale.

Perché, alla luce dei fatti recenti, l’India sta agendo in questo modo?

E’ normale che un Paese e la sua opinione pubblica considerino tali forme di immunità dei privilegi. Anche a noi è capitato nel caso Calipari, quando il soldato statunitense fu sottratto alla nostra giurisprudenza. Resta il principio tale per cui il comportamento di un organo dello Stato viene imputato allo Stato.  

Ci spieghi meglio.

Benché l’India abbia teoricamente giurisdizione sulla vicenda, l’azione dei marò non può essere imputata a loro direttamente, ma allo Stato di cui fanno parte. L’eventuale reato, infatti, è stato compiuto in nome e per conto dell’Italia, nell’ambito di una missione ufficiale.

Come valuta il processo in corso?

Il solo fatto che siano sottoposti a processo rappresenta un illecito dal punto di vista del diritto internazionale. La situazione, sul versante del diritto, appare quindi molto chiara. 

Pensa che la vicenda degli italiani rapiti dai maoisti indiani possa incidere sul rilascio dei marò?

Francamente, mi sembra inverosimile. Potrebbe, al limite, essere una scusa dell’India per procedere al rilascio senza perderci la faccia.

Trova plausibile l’intervento dell’Onu come alcuni stanno auspicando?

No. Benché, infatti, la missione fosse stata approvata dal Consiglio di Sicurezza, i marò stavano agendo per conto dello Stato italiano e non per conto delle Nazioni Unite. Se già il coinvolgimento dell’Ue appare estremamente improbabile, quello dell’Onu è pressoché impossibile. 

 

 

(Paolo Nessi)

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