Con la crisi di oggi l’Europa unita tocca forse il punto più basso della sua parabola, dal punto di vista economico, ma anche dal punto di vista istituzionale. Per secoli, in tutti i sensi prima potenza mondiale, l’Europa è ora ridotta a essere un’entità pressoché ininfluente sullo scacchiere internazionale. Lo stato-nazione è ancora l’incarnazione suprema della sovranità popolare del Vecchio continente. La realtà ci dice però che la nazione non è più il livello politico adeguato per sostenere il confronto con le altre potenze mondiali. In questo senso le sovranità nazionali europee non competono più da decenni.

I leader dell’Unione europea continuano a lottare affinché il progetto europeo non affondi nelle sue contraddizioni. Per fare questo però occorre che questo progetto venga rafforzato in maniera strutturale. L’unica soluzione sono gli Stati Uniti d’Europa, il risultato logico dell´ambizione dei padri fondatori. Ci sono diverse motivazioni di carattere storico, politico, economico e istituzionale che si intrecciano e ci spingono a lavorare per la soluzione federalista per antonomasia. È arrivato il momento per valutare senza riserve gli errori della costruzione europea e le prospettive per il futuro.

Oggi l’Unione europea rappresenta circa l’8% della popolazione mondiale. I trend demografici mostrano il declino dell’Europa: nel 2050 gli europei saranno solo il 6% degli abitanti della terra; alla fine del secolo solo il 4%. Quindi, nel 2100 il 96% della popolazione mondiale non sarà europea. Gli europei saranno solo il 4%, suddivisi in 30/40 sovranità nazionali. L’eurozona al momento è formata da 320 milioni di europei. Come gli abitanti degli Stati Uniti d’America, che però costituiscono un’unica sovranità nazionale. Gli Usa continuano ad avere la moneta più utilizzata al mondo. In questa realtà globale (Stati Uniti d’America, potenze economiche come Cina e India, paesi emergenti come Indonesia e Brasile) l’Europa è ancora marginale. Queste sono soltanto alcune delle motivazioni per le quali è necessario un deciso cambio di passo nel processo di integrazione europea.

 «Verrà un giorno in cui non vi saranno campi di battaglia al di fuori dei mercati che si aprono al commercio e degli spiriti che si aprono alle idee. Verrà un giorno in cui le pallottole e le bombe saranno sostituite dai voti, dal suffragio universale dei popoli, dal venerabile arbitrato di un grande senato sovrano che sarà per l’Europa ciò che il Parlamento è per l’Inghilterra, ciò che la Dieta è per la Germania, ciò che l’assemblea legislativa è per la Francia! Verrà un giorno nel quale l’uomo vedrà questi due immensi insiemi, gli Stati Uniti d’America e gli Stati Uniti d’Europa, posti l’uno di fronte all’altro, tendersi la mano al di sopra dell’oceano, scambiare fra loro merci, prodotti, artisti, scienziati, dissodare il mondo, colonizzare i deserti, perfezionare la Creazione sotto lo sguardo del Creatore e riunire, per il benessere comune, le due forze più grandi: la fraternità del genere umano e la potenza di Dio! Non ci vorranno quattrocento anni per vedere quel giorno poiché viviamo in un tempo rapido». (Victor Hugo – congresso internazionale per la pace – Parigi, 21 agosto 1849).

In un tempo in cui la crisi induce al pessimismo e alla sfiducia nelle istituzioni, la Pasqua di resurrezione arriva anche in Europa, per ricordarci da dove nasce il nostro stare insieme. L’Europa risorgerà se ritroverà lo spirito cristiano di chi ha capito che la pace è il motore dello sviluppo e la condizione indispensabile per un futuro di prosperità. La pace, di cui abbiamo beneficiato in questi ultimi sessant’anni è l’eccezione, non la regola della storia europea. Ed è un’eccezione figlia dell’amicizia cristiana tra i padri fondatori. Gli Stati Uniti d’Europa sarebbero l’approdo ideale del viaggio intrapreso da quegli uomini. Potrebbero essere la Pasqua per l’Europa.