È stupefacente come dovevamo essere niente e invece tutto è salvato. Nulla è andato perduto. Non rifletteremo mai abbastanza su questo, su quello che riaccade in questo giorno. Io – ma è vero per ciascuno di noi, con la sua povera carne mortale – potevo essere buttata via e invece sono stata salvata.
Possiamo realmente, dimenticando noi stessi e quello che siamo, distogliere i nostri occhi da questo fatto? Eravamo smarriti, il nostro io era distrutto dalla nostra debolezza e dalla nostra fragilità, invece Egli viene e dice: non ti ho perduto. È questo l’evento della Pasqua.



Guardiamo le nostre giornate; siamo definiti dalla nostra incapacità, dal nostro limite, dal nostro peccato. Come potevamo pensare che la Salvezza venisse? Era umanamente inconcepibile. Ma Cristo è venuto, ha offerto se stesso per noi, ed è risorto. È entrato nella storia ed è diventato una presenza quotidiana, familiare, amica. Lui viene e ci salva. Da oggi tutte le cose appartengono a Lui, tutte sono in Lui.



Con la Pasqua non solo tutto è salvato, ma noi siamo preferiti. Il Signore ci ha scelti. Non solo non perdiamo nulla, ma riguadagniamo tutto. Ogni cosa, in Lui, acquista il suo significato definitivo. Pensavo proprio questo quando qui a Kampala venerdì, durante il triduo pasquale, abbiamo fatto la via crucis per le vie della città. Una via crucis che potrebbe sorprendere molti cattolici, perché vi partecipano persone di tutte le religioni. Sì, anche i musulmani, perché da noi – almeno fino ad ora – i musulmani rispettano anche le altre religioni. Ed è così per tutti.

In tutti noi c’è qualcosa che dice che la morte non è tutto. Basta guardare senza preconcetti la nostra vita: niente ci può bastare, perché nulla può colmare il nostro desiderio infinito. Tutto questo diviene molto chiaro nella morte, soprattutto qui, in Africa: stai morendo, eppure non smetti di desiderare e di sperare. Da noi uno che sta per andarsene è sereno: è convinto di andare da qualche altra parte, non che tutto finisce con lui. In Africa …non si muore! È la tradizione religiosa di questa terra, in base alla quale quando muori semplicemente cambi modo di vivere e un’altra vita di attende.



Ma allora, perché la realtà non ci basta? Perché questo nostro io, quello che siamo noi – ora – ci interessa più di ogni altra cosa. In Africa almeno è più facile credere nella resurrezione: se Cristo è risorto, non è più nella tomba. È con noi. Ma dove lo vediamo? Se è risorto, è quella presenza che ci cambia adesso. Per questo è più reale di ogni altra cosa, molto più reale di tutti gli spiriti dell’Africa.

Come è possibile che questo miracolo, il miracolo della sua presenza e della sconfitta del nostro limite, si ripeta? Per noi sarebbe certamente impossibile. Ma risorgendo dai morti Cristo si è ripreso tutto. Il Signore vince e attira tutto in sé e a sé. il miracolo è possibile perché Lui «È il Signore!», come dicevano i discepoli.

Dobbiamo anche noi tornare come loro. Guardando il Signore e stando con Lui, avevano con Lui una familiarità per cui non potevano più dubitare. Sentivano, nella loro carne, che tutto non poteva finire lì. Certo, non potevano immaginare come, ma la morte non poteva avere l’ultima parola. Lui era il Signore. Come ha detto papa Benedetto XVI nella Domenica delle Palme, occorre la decisione di accogliere il Signore e di seguirlo fino in fondo, la decisione di fare della sua Pasqua di morte e risurrezione il senso stesso della nostra vita di cristiani.

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