Khalid Sheik Mohammed è stato torturato per 183 volte con il waterboarding, gli interrogatori con immersione della testa nell’acqua ai limiti del soffocamento. Il terrorista che si è autoproclamato la mente degli attentati dell’11 settembre è comparso di fronte al Tribunale di Guantanamo per quello che è stato definito il “processo del secolo”. Insieme a lui altri quattro imputati chiamati a rispondere di terrorismo, strage e omicidio in violazione delle leggi di guerra. George W. Bush ha giustificato pubblicamente i metodi di tortura, spiegando che servivano a salvare migliaia di vite umane. Dopo di lui, Obama ha cambiato le regole imponendo che le dichiarazioni estorte tramite waterboarding non siano utilizzate durante il processo. Ilsussidiario.net ha intervistato Jimmy Gurulé, esperto di diritto penale della Notre Dame University nonché ex sottosegretario del governo Bush, per il quale si è occupato di rintracciare i flussi di denaro che finanziano i terroristi.
Quale punto d’equilibrio può essere trovato tra sicurezza dei cittadini e tutela dei diritti umani nel processo ai terroristi dell’11 settembre?
E’ una questione molto controversa sia negli Stati Uniti sia a livello internazionale. Dal 2009 ci sono stati alcuni miglioramenti nelle procedure della Commissione militare, rispetto a quelle che erano state previste dall’amministrazione Bush. Tuttavia, esistono ancora motivi di preoccupazione da parte dell’opinione pubblica. La commissione militare, di fronte alla quale compariranno gli imputati, ha regole meno rigorose del tribunale penale per quanto riguarda l’ammissibilità delle prove. Uno dei motivi di preoccupazione è sulla possibilità di rivelare prove che mettano a rischio la sicurezza internazionale.
Che cosa fa in queste circostanze il tribunale militare?
Il giudice ha l’autorità di imporre la cosiddetta “sanificazione della prova”, permettendo che siano fornite delle dichiarazioni sostitutive o utilizzando dei riassunti al posto dei documenti integrali. L’avvocato della difesa quindi non vedrà quelle prove che minaccerebbero la sicurezza nazionale, e quindi non sarà in una posizione tale da porter sfidare il procuratore. Nel complesso il processo è sulla buona strada per quanto riguarda l’equilibrio tra la salvaguardia della sicurezza nazionale e le libertà civili, ma ci sono ancora alcuni problemi che restano irrisolti. Dovremo attendere e vedere come le procedure si evolveranno durante il processo.
Secondo lei sarebbe stato meglio se gli imputati fossero comparsi di fronte a un tribunale penale anziché a uno militare?
Ci sono dei validi argomenti a favore di entrambe le tesi, ma il tribunale militare presenta degli indiscutibili vantaggi. Innanzitutto può garantire un processo che non sia turbato da un’eccessiva spettacolarizzazione. L’attenzione dei media avvantaggerebbe infatti i terroristi, che potrebbero tentare di sfruttare la situazione per comunicare le loro convinzioni politiche e ideologiche. Inoltre di fronte a un tribunale penale sarebbe necessario rivelare prove che potrebbero mettere a rischio la sicurezza nazionale. Al contrario, se queste prove fossero nascoste questo comprometterebbe la capacità della pubblica accusa di fare condannare gli imputati. Ritengo quindi che si debba attendere per vedere come questi problemi saranno risolti nel corso del processo, evitando di muovere critiche generiche.
Secondo l’ex presidente Bush, alcune procedure come il waterboarding sono state utilizzate per salvare migliaia vite umane. Che cosa ne pensa di questa affermazione?
La tortura è proibita dalle leggi internazionali, come dalla Convenzione contro la tortura di New York del 1984, e quindi qualsiasi altra considerazione è soppiantata dalla proibizione del waterboarding e di altre procedure simili. Il diritto internazionale non riconosce nessuna eccezione, nemmeno quella di ottenere informazioni da complici di terroristi che stanno cercando di uccidere migliaia di civili.
Che cosa fare però delle dichiarazioni estorte dall’amministrazione Bush agli imputati grazie al waterboarding?
Nessuna dichiarazione dovrebbe derivare dalla tortura, né dovrebbe essere considerata come una prova ammissibile nel corso del processo. La commissione militare di fronte a cui si svolge il processo dell’11 settembre accetta questa limitazione. Nei confronti di Khalid Shaikh Mohammed esistono per esempio prove sostanziali del fatto che è stato sottoposto a waterboarding. Qualsiasi dichiarazione raccolta in questo modo dovrà essere eliminata.
Che ne sarà delle prove cui gli inquirenti sono giunti grazie a queste dichiarazioni?
Non sembra che queste siano proibite dalla commissione militare, anche se ci sono molti difensori dei diritti umani che sono pronti ad affermare che a essere inutilizzabili non sono solo le confessioni sotto tortura, ma qualsiasi prova derivata attraverso questo metodo.
(Pietro Vernizzi)