Ancora sangue a Damasco. Un duplice attentato ha scosso la periferia della capitale siriana nelle prime ore di ieri provocando 55 morti e 372 feriti. La tv di stato ha trasmesso le immagini cruente di corpi dilaniati dalle deflagrazioni, unite al messaggio “volete tutto questo?”. Una spirale di violenza che da più di un anno non accenna a fermarsi. Dal 15 marzo 2011 le strade hanno cominciato a riempirsi di folla per tentare di rovesciare il regime di Bashar Al Assad, sull’onda di quella “primavera araba” che già aveva sconvolto gli equilibri del Medio Oriente in paesi saldi come l’Egitto e la Tunisia. Ad oggi nulla è cambiato, nonostante l’incessante lavoro della diplomazia Onu e della  Lega Araba, e nelle strade si continua a morire. Abbiamo chiesto per IlSussidiario.net un commento a Samir Khalil Samir, teologo cattolico e docente di islamologia e cultura araba nell’Università St. Joseph di Beirut.



Come uscire da questa spirale di violenza?

Le possibilità sono due: o si continua a combattere e il più forte vincerà, o si passa alla diplomazia. La prima soluzione significa che la guerra continuerà senza tregua, dal momento che il Governo, forte dei suoi armamenti, continuerà a combattere. Questo incita l’opposizione a richiedere l’aiuto di Governi contrari al regime di Bashr Al Assad, in particolare l’Arabia Saudita o il Qatar che sono pronte ad intervenire. Il risultato però non cambia e vuol dire migliaia di persone morte per le strade.  E’ un’assurdità e va contro lo stesso popolo siriano.



Se i ribelli, continuando a combattere, dovessero far cadere l’attuale dittatura?

Non c’è garanzia che un nuovo governo sia sinonimo di democrazia, poiché chi ha accettato il principio di difendersi con la violenza finirà per usarla e accettarla anche in futuro.   

L’altra soluzione di cui parlava?

L’Onu sta facendo l’unica politica possibile, cioè quella di calmare gli animi per poter discutere e arrivare ad una soluzione. La via pacifica è difficilissima soprattutto dopo dieci mesi di torture e ingiustizie perpetrate dal regime, sebbene anche l’opposizione sia entrata nell’ottica dell’uso indiscriminato della violenza. L’intenzione dell’inviato dell’Onu Kofi Annan è quella di creare prima un clima di tregua fra le parti, e poi costituire un gruppo di dialogo per arrivare ad un compromesso.



Il compromesso contemplerebbe anche nuove elezioni?

Certo, se la diplomazia sarà abbastanza abile si potrebbe anche arrivare ad elezioni.

Come si sta evolvendo il conflitto?

All’inizio era una lotta fra un popolo vessato contro la dittatura: una vera e propria guerra civile. Ora, grazie al contributo di altri Paesi, si sta trasformando in una lotta fra i Sunniti, appoggiati dall’Arabia Saudita, il Qatar, i Fratelli Musulmani all’interno del Paese, e gli Sciiti, rappresentati dal governo formato da Alawiti.

Questi ultimi possono avere il sostegno dall’Iran?

Certo, l’Iran è la nazione sciita per eccellenza. E l’intervento di quest’ultimo sarebbe il rischio più grande, cioè che la lotta per la democrazia si trasformi in un conflitto fra tendenze musulmane. Se accade questo non ci sarà più alcuna soluzione e non servirà più alcuno spiraglio per un intervento diplomatico.  

Che ruolo hanno i cristiani in tutto questo?

I cristiani sono in una posizione scomoda poiché sono esattamente nel mezzo e l’unica via che possono percorrere è mediare fra le due fazioni. Il governo, sebbene perpetri violenze ai danni del suo popolo, assume una profilo neutrale nei confronti dei cristiani così come in quelli di sciiti o sunniti. Ai cristiani, dunque, non conviene mostrarsi contrari al governo Al Assad. D’altro canto, la presenza dei ribelli incalza pericolosamente e nemmeno con questi ultimi conviene mostrarsi non collaborativi. E’ comunque risaputo che il partito Baath da oltre quarant’anni governa con il pugno di ferro, così come ha fatto in Iraq. E proprio per il timore di fare la fine del regime di Saddam stringe il cerchio intorno ai ribelli.

Quale sarà, dunque, il futuro per la Siria?

L’esperienza ci insegna che quelli che prenderanno il potere, e basta dare uno sguardo al resto del mondo arabo, saranno favorevoli ad una tendenza islamista più o meno rigorosa. Lo possiamo notare in Tunisia, il Paese con la tradizione più secolare di tutti gli Stati arabi. Lo notiamo in Egitto, dove la tendenza dei giovani che hanno portato avanti la primavera araba di piazza Tahrir era laica e neutrale, mentre ora chi ha preso il potere è per un buon settanta per cento islamista.

Perché secondo lei?

Perché dietro tutto ciò ci sono i miliardi dell’Arabia Saudita e del Qatar. Se tutto ciò dovesse ripetersi in Siria cosa avremmo guadagnato? Una guerra fra tendenze religiose di cui questa popolazione non ha bisogno perché ha iniziato a combattere con ben altri scopi.

(Federica Ghizzardi)

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