La Grecia è senza un governo. I tre principali partiti non sono riusciti a mettere in piedi una nuova maggioranza. La speranza non si è ancora del tutto estinta e non è escluso che, nelle prossime ore, i conservatori, i socialisti e un terzo partito di sinistra trovino una soluzione armonica. In caso contrario, dovranno nuovamente presentarsi alle urne. Nel frattempo, in Europa, si è insinuato un tremendo sospetto: Atene potrebbe decidere di uscire dall’euro e l’instabilità politica di questi giorni potrebbe accelerare il processo. In realtà, le cose non stanno così. Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia della radio TV pubblica greca ERT, ci spiega perché.



Cosa succede se, a breve, non sarà trovato un accordo?

L’ordinamento costituzionale prevede che, senza un governo di collaborazione, entro un mese ci dovranno essere nuove elezioni. Tuttavia, in base alle aritmetiche parlamentari, una nuova maggioranza sarebbe possibile. Sommando i seggi di  Nea Democratia (centrodestra) con quelli del Partito socialista e di Sinistra Democratica, un piccolo partito riformista di sinistra, i numeri per un nuovo governo ci sarebbero.



Quindi? Qual sono i principali ostacoli alla sua formazione?

Il problema è che queste forze non riescono ad accordarsi sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei creditori europei; ovvero, benché tutte siano convinte che il secondo memorandum di ottobre vada rinegoziato, non trovano l’intesa sul come.

Tal rinegoziazione rappresenterà, quindi, la priorità del nuovo governo?

Esatto. Tutti i partiti, infatti, sono convinti del fatto che le politiche applicate, negli ultimi due anni e mezzo, abbiano rappresentato un completo fallimento e che vadano riviste. Il prossimo esecutivo, quindi, agirà, anzitutto, in tal senso. E il nuovo vento che soffia in Europa potrebbe agevolare l’impresa.



Cosa intende?

L’elezione di Hollande e le pressioni del premier italiano Mario Monti stanno iniziando ad isolare le politiche dogmaticamente monetariste della Germania; si sta, inoltre, facendo strada l’idea secondo cui è necessario concentrarsi sullo sviluppo e non solo sul rigore, ma anche l’ipotesi di svincolarsi dai poteri finanziari per privilegiare l’economia reale.

In ogni  caso, da dove proviene la condivisione della necessità di rinegoziare le condizioni imposte dall’Europa?

Rappresentano un saccheggio ai danni della Grecia da parte dell’Europa e delle multinazionali.

Cosa prevedono?

In base a quanto concordato, il nuovo governo dovrebbe licenziare, entro il 2015, 150mila dipendenti pubblici; tagliare la spesa pubblica e i servizi per 11 miliardi di euro; procedere a privatizzazione selvagge, a qualsiasi prezzo e a qualunque costo; e svendere i beni dello Stato.

Secondo lei, come andranno le prossime elezioni?

Si confermerà la tendenza già emersa in quelle della scorsa settimane; gli elettori puniranno ulteriormente i partiti che hanno governato negli ultimi 40 anni il Paese, il Partito socialista e Nuova democrazia. E puniranno, in particolare, i socialisti che hanno gestito maldestramente il piano di austerity. Contestualmente, si privilegerà la sinistra europeista. Proprio perché gli elettori greci, come hanno dimostrato nelle scorse elezioni, sono capaci di gesti di grande responsabilità e intendono dare un voto che sia a favore dell’Europa.   

I neo-nazisti di Alba Dorata hanno ottenuto il 7 per cento dei consensi. C’è il rischio che il trend si confermi?

Il rischio c’è. Il loro successo elettorale è dovuto a due fattori tuttora presenti. C’è stata, anzitutto, una totale indifferenza da parte delle autorità nei confronti dell’immigrazione. Dal confine con la Turchia, attraverso la Grecia, entra in Europa l’80% dei clandestini. Ci sono città dove centinaia di migliaia di disperati che non riescono a raggiungere i Paesi del nord restano “intrappolati” e non hanno altro modo di sopravvivere che delinquere. L’Europa, più volte sollecita ad intervenire, dal canto suo non ha ancora mosso un dito.

In molti temono che la Grecia esca dall’euro. E’ un’ipotesi realistica?

No. Su questo fronte non c’è alcun rischio. Né i cittadini né le forze politiche hanno alcuna intenzione di abbandonare la divisa unica. Casomai, il rischio è che l’euro e l’Europa scompaiano, a causa dell’incapacità dell’Unione di adottare politiche e strategie adeguate ad affrontare la crisi. Se due anni e mezzo fa la Grecia poteva essere considerata la pecora nera dell’Ue, ad oggi, su 17 paesi dell’Eurozona, solo quattro segnano un Pil positivo. Tutti gli altri sono in recessione o in stagnazione. E’ evidente che le politiche europee degli ultimi anni si sono rivelate fallimentari. 

 

(Paolo Nessi)

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