Nell’agenda europea, la crisi greca è il primo dei problemi. Le istituzioni comunitarie e i suoi stati più rappresentativi stanno monitorandone l’evolversi della situazione con apprensione. Dopo il fallimento dell’ennesimo tentativo di formare un nuovo governo, la Grecia andrà nuovamente al voto. Il leader del Pasok, Evangelos Venizelos, ha ritenuto responsabile «qualcuno che ha messo i propri temporanei interessi politici al di sopra degli interessi della nazione», riferendosi alla coalizione della sinistra radicale Syriza che in caso di elezioni risulterebbe estremamente favorita. Contestualmente, si fa strada lo spettro dell’uscita di Atene dall’euro. Se realmente uno stato dell’Unione compiesse un passo del genere, in molti potrebbero seguirlo. Come siamo arrivati a questo punto? Lo abbiamo chiesto a Eleni Mahaira-Odoni, docente nel Center for European Studies di Harvard.
La Grecia è giustamente considerata una delle fonti della civiltà occidentale e, per molti versi, la culla culturale dell’Europa. Eppure, in questo momento è ritenuta anche il principale problema dell’Europa e si parla anche di una sua possibile fuoruscita. Quali sono le ragioni dell’attuale situazione?
La Grecia è e rimane la culla culturale dell’Europa. Ogni valore socio-politico adottato lungo i secoli dagli europei è stato prima analizzato, discusso, sottoposto a critica e satira in Grecia e dalla sua arte, dal suo teatro e dalla sua letteratura. Tuttavia, il sorgere, il declino e la caduta di Stati e imperi fa parte della Storia. Se nel ventunesimo secolo la Grecia si trova sull’orlo del fallimento, non per questo il suo passato viene cancellato, né gli si può imputare il presente. Dopo tutto, si potrebbe dire la stessa cosa di Roma! Comunque, occorre tenere in debito conto la mancanza di un Rinascimento, dovuta ai 400 anni di occupazione ottomana, le condizioni derivanti dalla recente storia greca e la sua dipendenza dall’Unione europea.
Durante gli anni della Guerra Fredda, la Grecia è stata di fatto un Paese di frontiera tra i due blocchi contrapposti, come per altri versi Italia e Germania. Tuttavia, ora Grecia e Italia fanno parte della cosiddetta “periferia europea”, mentre la Germania è considerata il motore dell’Europa. Da storica, come giudica questo diverso esito?
Non sono sicura che uno storico della politica possa spiegare questi eventi meglio di altri scienziati sociali. Comunque, occorre tener presente che la Grecia è entrata molto tardi sia nella Cee che nell’Ue, a causa dei problemi della sua economia, dovuti alle conseguenze della seconda guerra mondiale e al ruolo svolto in Grecia dagli Stati Uniti nel periodo della successiva ripresa economica.
Quale peso ha avuto nella storia greca, anche recente, il conflitto con la Turchia, in un certo senso un altro confine dell’Europa?
A mio parere, il conflitto continuo con la Turchia è il fattore più rilevante che ha influenzato e condizionato l’intero quadro della politica greca, sia interna che estera. E continua a essere rilevante nelle questioni relative ai nostri confini, minacciati da un costante afflusso di immigrati illegali. Questo conflitto ha anche prodotto l’attuale impasse nella soluzione del problema di Cipro, le dispute sull’Egeo e la quota sproporzionata destinata alla difesa nel nostro bilancio pubblico.
La Grecia si trova ora di fronte a grandi difficoltà nella formazione del governo, con la prospettiva di un ritorno tra breve alle urne. Nelle recenti elezioni, una percentuale significativa di voti è andata alla sinistra radicale e alla estrema destra. Ciò non è trascurabile in un Paese che ha sofferto una guerra civile tra comunisti e monarchici, nella seconda metà degli anni ’40, e una dittatura militare di destra alla fine degli anni ’60. Come valuta la situazione attuale sotto questo profilo?
Questa è una domanda che richiederebbe un rapido sommario di storia moderna greca, che non è facile da fare. Personalmente, sono molto scontenta dei risultati pasticciati delle ultime elezioni, perché credo che testimonino la rabbia di un elettorato che non è stato sufficientemente informato sull’identità e i veri scopi di diversi partiti. Credo anche che la maggioranza dei greci sia del tutto convinta che convenga e sia giusto rimanere nell’Unione europea, ma i greci sono anche disperati, soprattassati e molto mal guidati al momento del voto. Inoltre, sono convinta che le elezioni non fossero necessarie e siano solo state spinte dalla ambizione di qualche politico vecchio stile ancora attaccato a un modello politico clientelare, quello che ha portato la Grecia a un punto così basso.
Quindi, qual è infine la valutazione che i greci danno della Ue e della possibile uscita da essa? Secondo Lei, quale sarebbe la soluzione migliore per portare il Suo Paese fuori dalla grave crisi attuale?
Come ho già detto, la Grecia contemporanea crede nell’Unione europea, sia pure nel discutibile senso di una società consumista all’occidentale, cosa che non può essere ignorata neppure dal Partito comunista greco. Attraverso le coraggiose iniziative dell’attuale Primo ministro, il professor Lucas Papademos, il Paese ha evitato il disastro. Adesso vi è però bisogno di un governo che continui su questa strada orientata all’Europa, che faccia le riforme strutturali richieste, non dalla “Troika”, ma dalla situazione reale e che ci porti in un nuovo panorama politico: nuovi partiti e nuove coalizioni europee. Mi sembra che i recenti eventi politici in Francia, insieme al clima sociale che si sta evidenziando nel Regno Unito, in Spagna e Portogallo, potrebbero forzare la Germania a riconsiderare la sua rigida politica fiscale e portare alla richiesta di un nuovo Piano europeo. E sarebbe proprio ora che ciò accadesse.