«Sapevamo fin dall’inizio che la controversia internazionale sarebbe stata lunga e difficile, ma credo che il risarcimento offerto dal governo italiano alle famiglie dei due pescatori uccisi rappresenti tutto sommato una buona mossa, perché potrebbe in qualche modo far evolvere la vicenda». Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza, commenta in questa intervista la vicenda dei due marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di aver ucciso due pescatori lo scorso 15 febbraio e la cui custodia giudiziaria presso il carcere di Trivandrum, in India, è stata prolungata fino all’11 maggio.
Professore, che obiettivo cerca di raggiungere il governo italiano attraverso l’accordo con le famiglie dei pescatori che la Corte Suprema di New Delhi ha contestato?
Difficile da dire, ma posso immaginare che risarcire le famiglie dei pescatori sia stata un’azione per evitare la costituzione dei parenti delle vittime come parte civile nel procedimento, non certo nella speranza di estinguere l’azione penale. E’ chiaro però che quando non ci sono le parti civili, anche il procedimento penale è leggermente più in discesa per l’imputato.
Le decisioni che la Corte del Kerala sta prendendo possono creare secondo lei una sorta di conflitto di interessi con la Federazione indiana?
Dal punto di vista giuridico probabilmente no. Come sappiamo l’India è uno Stato federale, quindi la giurisdizione è esercitata verosimilmente, in modo più o meno decentrato, dai singoli Stati. Il problema è che le relazioni esterne spettano ovviamente al governo federale, mentre le decisioni su singole questioni di valenza penale spettano alle Corti degli Stati.
In che modo influisce il fatto che la Corte Suprema di New Delhi abbia autorizzato la partenza della petroliera Enrica Lexie, la nave su cui erano imbarcati i due marò?
E’ importante sottolineare che per ora si tratta solamente dell’autorizzazione, quindi prima di festeggiare aspettiamo che la nave lasci veramente il porto. In generale la notizia è comunque ottima, e credo che la detenzione della petroliera non fosse perfettamente conforme agli standard internazionali.
Come mai?
Basti pensare che nelle violazioni di diritto del mare, che quindi non riguarda il caso di cui stiamo parlando, per gli Stati che sequestrano una nave vi è un obbligo di pronto rilascio. In questo caso siamo fuori dell’ambito di applicazione di questa convenzione, ma la nave era comunque ferma da oltre due mesi.
Quindi cosa ne pensa?
Diciamo che se dovessimo applicare come standard di riferimento quelli del diritto marittimo, allora siamo veramente al di là del tollerabile.
Come giudica l’operato del ministero italiano fino ad oggi?
Ho sempre ritenuto che il governo italiano abbia mantenuto una posizione corretta, cioè quella di considerare in atto un illecito indiano, che è indipendente dal fatto di condannare i marò. L’illecito sussiste solamente per il fatto di aprire un procedimento penale nei loro confronti, e questo giustificherebbe anche delle azioni più energiche di reazione da parte del nostro governo. Il problema è che adesso non è facile capire se l’atteggiamento sia stato troppo morbido o meno, e probabilmente lo sapremo solo a posteriori.
Il ministro Terzi ha recentemente detto che «per quanto riguarda i marò, abbiamo costantemente insistito sul principio della legislazione internazionale in alto mare e sul principio della giurisdizione delle forze militari imbarcate anche su mercantili civili in funzione antipirateria». Cosa ne pensa?
Direi che sono due ricostruzioni corrette: la prima dipende ovviamente dall’accertamento della zona di mare in cui si trovava la nave, mentre la seconda è ovviamente giusta perché, trattandosi di militari al servizio dello Stato italiano, imbarcati su navi mercantili ma per svolgere servizio pubblico, hanno diritto all’immunità.
A suo giudizio come dovrebbe comportarsi l’Europa? Possiamo aspettarci un intervento diplomatico?
Su questo ho un atteggiamento piuttosto negativo, perché l’illecito di cui parlavamo è comunque nei confronti dell’Italia e non siamo nell’ambito delle competenze dell’Unione europea, quindi un’eventuale azione europea mal si giustifica in questo caso. Ovviamente da un punto di vista di pressione politica nulla eviterebbe all’Europa di intervenire, anzi è chiaro che sarebbero pressioni anche più forti di quelle esercitate da un singolo Stato. Bisogna però tenere conto del fatto che l’India è un importante partner commerciale per molti stati europei, per cui ci potrebbe essere una tendenza a voler lasciare tutta la questione in mano all’Italia.
Come prevede che si risolverà tutta la vicenda?
E’ molto difficile dirlo, ma a mio avviso ci troviamo davanti a un braccio di ferro tra le autorità federali e quelle locali, anche se in questo momento stanno agendo le autorità giurisdizionali e amministrative locali. Credo che alla lunga non sarà facile far prevalere le esigenze locali su esigenze di politica estera e del diritto internazionale, quindi è probabile che per evitare di perdere la faccia, una possibile soluzione potrebbe essere quella di avviare un processo e arrivare alla sentenza di proscioglimento in istruttoria, così da chiudere definitivamente il procedimento giudiziario.
(Claudio Perlini)