A cura di Maria Laura Conte e Meriem Senous (http://www.oasiscenter.eu/)

Com’è il clima che si vive in questo periodo di campagna elettorale in Egitto ?

Direi che il clima è incerto, ma ringraziamo il Signore. L’atmosfera è pesante per diverse ragioni. Prima di tutto perché ci sono troppi candidati : sono tredici, cinque dei quali appartengono a partiti islamisti. La loro tendenza varia da fondamentalista a più che fondamentalista. Cioè,  nell’area islamista non c’è neppure un candidato che si possa definire “moderato”. È di questo che i cristiani hanno più paura.



Poi ci sono candidati socialisti e liberali, nel senso “capitalista”.

Non considera in modo positivo il numero elevato di candidati?

Io credo che ci sia troppa dispersione e divisione. 13 candidati sono troppi. Un buon numero di candidati è certo un segno di democrazia. Ma un numero esagerato genera divisioni e dispersione, significa che qualcosa non ha funzionato bene.



Chi sono i favoriti?

I favoriti sono in ordine  Amr Moussa, ex-ministro degli affari esteri del governo di Mubarak  ed ex-segretario della Lega Araba, e il generale Ahmed Shafiq. La scelta che si pone è tra un politico e un militare. La maggioranza del popolo non vuole più un militare come presidente, perché non vuol più una dittatura. Ma anche rispetto a questo i voti sono divisi.

Come si pone la comunità cristiana in questo contesto?

Anche la comunità cristiana è divisa tra Amr Moussa e Ahmed Shafiq. Alcuni preferiscono un militare, poiché lo considerano il solo capace di garantire effettivamente la sicurezza del Paese. Ma altri hanno paura: temono che i militari ristabiliscano un regime dittatoriale e possano offrire agli islamisti l’occasione e il pretesto per compiere azioni violente.  Sfortunatamente la Chiesa Copta Ortodossa vota per il candidato militare perché ritiene che solo i militari li possano proteggere. Sono 1400 anni, del resto, che i Copti la pensano così. Invece i copti cattolici, secondo me, voteranno per Amr Moussa.



Perché Moussa?

Perché Moussa è considerato un laico, un buon diplomatico, che conosce gli affari esteri; conosce bene l’Europa, dove conta buoni amici; conosce il Vaticano con il quale intrattiene buone relazioni. Ha molti amici cattolici ed è in generale ben noto alla comunità cristiana. È sempre stato un oppositore di Mubarak, anche da ministro. Tant’è vero che Mubarak lo nominò a capo della Lega Araba per sbarazzarsi di lui.

Ci sono indicazioni di votoda parte della comunità cristiana ?

Non ufficialmente.

I due candidati di punta, Moussa e Shafiq, hanno toccato il tema della religione? Hanno usato la questione religiosa nella campagna elettorale?

Sono entrambi aperti sulla questione religiosa, ma il tema non costituisce una priorità per la maggioranza del popolo ora. Il punto è scegliere se votare per un diplomatico o un militare.

Quali sono state le parole ricorrenti, le più usate durante questa campagna elettorale?

La parola più usata è stata “stabilità”, insieme a “non vogliamo un militare”. Alcuni addirittura minacciano di usare la violenza se un militare o qualcuno che fu vicino a Mubarak arrivasse al potere. Poi ci sono la questione copta e la questione femminile. Tutti si riempiono la bocca dei diritti delle donne. Mentre al contrario i fondamentalisti vogliono come sempre che le donne si velino e restino confinate a casa. Vogliono farne come al solito cittadine di secondo grado.

E la questione economica? La fragilità economica del Paese e la disoccupazione non entrano nel dibattito?

Questo problema viene solo dopo gli altri due ed è affrontato soprattutto dai candidati socialisti. Sono i soli a parlare di povertà, di salute, di crisi, di disoccupazione e di disagio. Sono socialisti nasseristi.

Per la maggioranza del popolo che manifestava in Piazza Tahrir per la libertà, la dignità e la democrazia, qual è il candidato migliore?

Anche  i rivoluzionari di Piazza Tahrir sono divisi. Tra loro vi sono i laici e i fondamentalisti, sia dei Fratelli Musulmani, sia dei Salafiti. I manifestanti di Tahrir non parlano con una voce sola. Ma quelli che sono rimasti veri rivoluzionari, che mantengono quella “purezza” dei veri e primi rivoluzionari, costoro voteranno per i canditati socialisti. Pensano che figure come Sabahi e Khaled Ali siano più prossimi alle idee rivoluzionarie che li animano, li vedono come veri socialisti del tempo di Nasser.

Secondo lei c’è qualcosa di nuovo in questa elezione? Le sembra che si apra una nuova stagione per l’Egitto?

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Il primo aspetto positivo di questa elezione è la libertà di espressione. Ci sono molti candidati, come dicevo, anche troppi. L’Egitto è in marcia su una via democratica. Anche se c’è sempre il pericolo che questo processo finisca nelle mani sbagliate.

 

Quali sono le mani sbagliate?

Quelle dei fondamentalisti. Prima erano nascosti, agivano nell’ombra. Ma ora parlano apertamente e mentono. Promettono molto e non fanno nulla.

 

L’esercito ha promesso di ritirarsi dopo le elezioni. Manterrà la promessa?

L’esercito ha promesso di ritirarsi, ma un esercito non si ritira mai. Farà un passo indietro, starà dietro le quinte, ma sarà sempre là. È molto importante in Egitto.

 

Quel è il candidato dell’esercito?

Ufficialmente non ha un suo candidato, ma per me colui che rappresenta l’esercito è Ahmed Shafiq: era generale, può contare sul sostegno non solo dei militari, ma anche della polizia e dei servizi segreti, gli ex-poliziotti di Mubarak.

 

Secondo Lei, cambierà qualcosa grazie a questa elezione?

Si tratta di un’elezione chiave perché il futuro presidente avrà molto potere e molte prerogative nelle sue mani. Non c’è infatti ancora una Costituzione che ne definisca e delimiti i poteri.

 

Avrà gli stessi poteri di Mubarak?

Sì e anche di più. Per ora tutto sarà in mano al Presidente. È la prima volta nella storia che ci troviamo in questa situazione con un Presidente che sarà eletto senza che si sappia esattamente quali sono i suoi poteri. È una cosa pericolosa, perché se il candidato eletto non è onesto o non sa scrivere una buona Costituzione, se non comincia a fare quello che i militari avrebbero dovuto fare da 18 mesi a questa parte, la situazione rischia di andare verso il peggio.

Siamo sul chi vive.

Lei rileva interesse e partecipazione da parte della popolazione per questa elezione ? O prevale lo scoraggiamento?

Il popolo partecipa, tutti parlano di politica. Ma si deve tener presente che il 27 % della popolazione egiziana è analfabeta e il 40% vive al di sotto della soglia di povertà.

 

Qual è la vostra impressione generale in quanto portavoce della Chiesa Cattolica?

Vedo che la situazione è molto delicata. Siamo di fronte a un bivio: se il presidente eletto sarà una persona liberale, onesta, rispettosa delle religioni, dei cristiani, dei diritti delle donne, dei disabili, allora l’Egitto potrà compiere un grande passo avanti. Se invece sarà eletto un presidente di matrice islamista, nel giro di cinque anni l’Egitto diventerà come il Pakistan. Abbiamo queste due possibilità estreme, non godiamo di un ampio spazio di manovra. Non esiste una terza via. Qui è tutto bianco o nero, non c’è grigio. Tutto si gioca sul voto del popolo

 

Lei è ottimista?

Sono ottimista perché ripongo la mia speranza nel Signore. Come uomo, come egiziano, sono convinto  che gli egiziani avranno la saggezza di votare per la persona giusta. Ma non vi nascondo che ho paura per il futuro di tutti gli egiziani, sia cristiani che musulmani.

 

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