Nessuna rivendicazione per il momento, anche se non è difficile intuire possa aver rapito l’ingegnere italiano a Ilorin, capitale dello stato del Kwara, mentre stava ispezionando un sistema di drenaggio per conto della Borini & Prono Costruzioni, una ditta torinese che, dal 1952, realizza strade in Nigeria. La notizia è stata confermata del ministro degli Esteri Giulio Terzi e, sebbene inizialmente l’intenzione fosse quella di mantenere il massimo riserbo, è trapelato che il nome del connazionale sarebbe Modesto Di Girolmano, ingegnere 70enne di origini abruzzesi. Dicevamo dei rapitori: nessun contatto ufficiale, finora. Carlo Jean, ex generale ed esperto di strategia militare, spiega a ilSussidiario.net: «la zona del rapimento è abitata, prevalentemente, da musulmani, mentre il sud del Paese è stato cristianizzato all’epoca della colonizzazione. Come in gran parte degli stati multi religiosi esistono tensioni piuttosto forti. Per lo più, subite dai cristiani che, in Nigeria, rappresentano l’elite e la dirigenza del Paese. Il dissenso di carattere religioso-confessionale si somma ad interessi di carattere locale ed economico». Con ogni probabilità, quindi, i criminali che hanno sequestrato l’italiano sogno gli stessi responsabili della morte Franco Lamolinara, l’ingegnere di 47 anni ucciso a marzo in un blitz per liberarlo. «In quella zona è folta la presenza dei Boko Haram, un gruppo islamista con legami con i movimenti islamisti internazionali, in particolare con Al Qaeda in the Islamic Maghreb (Akim) e con gli Shabab somali, dai qual ricevono armi ed esplosivi e addestramento. E’ molto probabile, quindi, che siano stati loro». I loro obiettivi sono noti. «Vogliono instaurare una dittatura islamica in Nigeria, fondata su un’interpretazione estrema della Sharia. Il transnazionalismo islamico, dopo la decimazione di Al Qaeda, si è parecchio frammentato e questi gruppi agiscono soprattutto per interessi locali. Ebbene, in genere, rapiscono con il fine di finanziarsi attraverso i riscatti». La vicenda, in questo momento, viene gestita dai nostri servizi di intelligence. «Si tratta di uomini ben addestrati e ben inseriti, che sono in stretto contatto con gli agenti dei Paesi arabi che, a loro volta, hanno contatti con i terroristi. In particolare, per quanto riguarda quelle zone, abbiamo rapporti con i servizi algerini, con i quali la collaborazione è sempre stata ottima». Resta da capire se un riscatto potrebbe essere, effettivamente, pagato. «L’ipotesi del riscatto – spiega – viene spesso contemplata, anche se non ufficialmente». L’alternativa èil blitz. «Generalmente si usa sempre la carota e il bastone. Ovvero, si promette un riscatto, ma se la posta in gioco sale, si minaccia il blitz». Ancora una volta, potremmo essere gli ultimi a sapere quale strada si deciderà di intraprendere. 



«Le azioni di forza vengono autorizzate, in linea di principio, dai governi locali. Tuttavia, difficilmente il capo del commando avviserà le autorità politiche di tutte le sue decisioni e dei suoi spostamenti. Neppure il primo ministro ne sarà a conoscenza. Per quanto ci riguarda, è prevedibile che all’Italia saranno date esclusivamente informazioni di carattere generico. Ci diranno, per esempio, se intendono usare la fora o meno, se pagare un riscatto meno. Ma di sicuro, non ci verranno a dire se, quando e come faranno il blitz».



 

(Paolo Nessi)

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