Il socialista François Hollande ha battuto Nicolas Sarkozy e sarà il nuovo presidente della Repubblica francese. Il distacco è forte quanto basta per non poter venire comunque ribaltato dai risultati delle votazioni dei territori d’oltre mare (Antille, Réunion, Nuova Caledonia, Polinesia ecc.) di solito favorevoli al presidente uscente. Commentando lo scorso 23 aprile gli esiti del primo turno, dicevamo che ci sarebbe stato poco da gioire quale che fosse il vincitore del ballottaggio. Non possiamo che confermarlo: è proprio così. C’è poco da stare allegri; con in più un problema che non riguarda la Francia ma il nostro Paese, e di cui diremo più avanti. Ovvero come la vittoria di Hollande verrà usata e raccontata sulla scena politica italiana dal Partito democratico e da quei grandi gruppi finanziari-industriali suoi alleati che pesano molto non soltanto in proprio, ma anche attraverso quella parte molto influente dei media che è sotto il loro abile ed efficace controllo. 



In momenti di grave crisi le maggioranze di governo uscenti di regola perdono. Avevano perso i socialisti in Spagna, hanno perso adesso Sarkozy in Francia e i socialisti in  Grecia. Sarkozy quindi era ipso facto svantaggiato, ma poi ci ha messo anche molto del suo: dall’infelice guerra contro la Libia di Gheddafi, che alla Francia è costata molto senza rendere niente, alla chiamata in soccorso del cancelliere tedesco Angela Merkel con cui è andato a toccare il nervo scoperto di un orgoglio nazionale e di inconfessati ma persistenti sentimenti anti-tedeschi che in Francia trovano eco in ogni settore dell’elettorato, da destra a sinistra. 



Si aggiunga che non solo il centrista Bayrou ha suggerito di votare per Hollande; anche Marine Le Pen, leader del Front National, dicendo che lei avrebbe votato scheda bianca ma che lasciava libertà di voto ai suoi elettori, ha di fatto portato acqua al mulino del candidato socialista, proprio in forza di quel nazionalismo trasversale di cui si diceva. Così la Francia, dove la maggioranza dell’elettorato è di centro-destra, avrà un presidente della Repubblica socialista. Questa situazione strutturalmente ambigua, e perciò tendenzialmente instabile, non potrà che diventare sempre più fluida nella misura in cui Hollande porrà mano all’attuazione del programma con cui si è presentato. Hollande si propone un rilevante aumento della pressione fiscale (45% sui redditi superiori ai 150mila euro annui, 75% su quelli superiori al milione di euro); l’assunzione di 60mila nuovi insegnanti e altri operatori scolastici; il ritorno dell’età di pensione ai sessant’anni seppure solo per chi ha più di 41 anni di contributi; la riduzione della quota di produzione di energia elettrica a mezzo di centrali nucleari, che oggi in Francia è del del 75 per cento, al 50 per cento entro il 2025. 



E con tutto questo si è anche impegnato a stimolare la crescita (ma come farà?) e a premere perché la “dimensione della crescita” entri nei trattati dell’Unione europea come uno dei suoi obiettivi di fondo. Si aggiunga che vorrebbe pure inserire nella Costituzione francese il principio della “separazione tra Stato e Chiesa”, formula che storicamente in Francia si è sempre identificata con politiche di aggressiva emarginazione della presenza pubblica dei cristiani; che ha promesso la possibilità del suicidio assistito ai malati maggiorenni di malattie non più guaribili nonché il matrimonio e il diritto di adozione agli omosessuali. Per parte sua Hollande è comunque un fermo avversario del matrimonio. Dopo aver avuto quattro figli dall’unione di fatto ormai conclusa con Ségolène Royal, all’epoca leader del suo partito e poi candidato presidenziale battuto da Sarkozy, Hollande convive con la giornalista Valerie Trierweiler. I due non intendono sposarsi – il che porrà inediti problemi di protocollo al cerimoniale della presidenza della Repubblica francese –, ma verrà vissuto  dagli avversari del valore del matrimonio come una grossa occasione per legittimare al massimo livello l’unione di fatto.

Sin qui le prospettive che la presidenza di François Hollande apre in Francia. In sede europea sarebbe un po’ frettoloso concludere che ci sarà perciò una svolta nelle relazioni franco-tedesche. Come già altre volte si diceva, il rapporto speciale tra Francia e Germania è forte, pluridecennale e stabilmente strutturato. Ci saranno variazioni di stile, ma la sostanza non cambierà come non è mai cambiata dal 1963 quando a Parigi il presidente francese del tempo, generale Charles De Gaulle, e il cancelliere tedesco del tempo, Konrad Adenauer, siglarono al palazzo dell’Eliseo lo storico trattato che gli diede il via.

Resta da dire dei riflessi in Italia, e qui siamo al burlesco. Non appena si cominciò a capire che Hollande poteva vincere, quei settori della stampa italiana di cui si diceva hanno cominciato a raccontare Sarkozy come un “avatar” di Berlusconi e Hollande invece come un “avatar” di qualcuno che ancora non si sa chi sia, ovvero l’eventuale prossimo venturo candidato vincente di  centro-sinistra al ruolo di capo del governo dopo Mario Monti. Auguri.

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