Tre giorni al voto in quella che si preannuncia come una tornata elettorale cruciale per il futuro dell’euro. Domenica la Grecia sarà chiamata ai seggi, e il vero favorito è Syriza, il partito di estrema sinistra di Alexis Tsipras. In un articolo pubblicato sul Financial Times, il politico ha sottolineato che “Syriza è impegnata a mantenere la Grecia nell’area euro”, ma “l’austerity minaccia di costringerci fuori dall’euro”. Per Tsipras, “il popolo greco vuole sostituire il fallimentare vecchio memorandum of understanding (firmato a marzo con l’Ue e il Fmi) con un piano nazionale per la ricostruzione e la crescita. Questo è necessario per evitare una crisi umanitaria e salvare la moneta unica”. Ilsussidiario.net ha intervistato Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia della radio tv pubblica greca ERT, per chiedergli di commentare la situazione greca alla luce del voto di domenica.
Perché Tsipras ha annunciato che manterrà la Grecia nell’euro?
Tsipras non ha mai voluto fare uscire la Grecia dall’euro. Questa è stata un’operazione di cattiva informazione della stampa italiana. Syriza è sempre stato un partito europeista, come hanno spiegato in tutti i loro programmi elettorali.
Che cosa accadrà dopo il voto?
Qualsiasi governo ci sarà all’indomani delle elezioni in Grecia, di destra o di sinistra, porrà alla trojka in termini molto risolutivi e molto decisi la questione di rivedere in maniera radicale il programma politico applicato negli ultimi due anni e mezzo riguardo alla Grecia. In altre parole, gli impegni politici presi dai governi precedenti non sono assolutamente applicabili.
Per quale motivo?
Nel cosiddetto “Memorandum 2” firmato nello scorso ottobre, era previsto che entro giugno ci fossero nuovi tagli per 11,6 miliardi di euro, il licenziamento di 60mila statali come prima tranche dei 150mila da lasciare a casa entro il 2015, un progetto di privatizzazioni e vendite degli asset pubblici, come isole e promontori, per 50 miliardi. Infine, era prevista una riforma della Costituzione in modo che se ci fosse stato un surplus primario dello Stato greco, sarebbe stato destinato direttamente al pagamento dei nostri creditori. Nessuno in Grecia, e non solo Tsipras, sarebbe in grado di applicare un programma del genere.
Quali sono le differenze su questo tema tra i principali partiti greci?
Ci sono delle differenze sulle modalità in cui deve avvenire questa contrattazione. Siccome gli accordi con i creditori sono diventati legge dello Stato, la sinistra radicale vuole abolire le leggi attualmente vigenti e iniziare una contrattazione con la trojka per vedere che cosa si può fare. Nea Demokratia, invece di cambiare la legge in Parlamento, vuole iniziare subito il negoziato. Per i socialisti invece il negoziato deve essere condotto da tutte le forze politiche, attraverso un governo di unità nazionale. Sono differenze tattiche, la sostanza è che tutti dicono che la ricetta per la Grecia non va bene.
Quali saranno le conseguenze per la Grecia di questa rinegoziazione degli accordi presi?
Dipenderà dalla Merkel. Se non cambierà la sua posizione, è molto probabile che la conseguenza sarà la fine dell’euro. Quella cui abbiamo assistito finora non è stata una gestione comunitaria della crisi del debito, ma soltanto un’espansione dell’impero tedesco.
Allora perché il governo socialista aveva accettato di firmare il Memorandum?
Questa è una bella domanda. Il dato certo è che i due partiti che hanno firmato hanno subito un tracollo elettorale. Oggi il socialista Papandreu è fuori dal gioco, e anche Samaras di Nea Democratia è stato messo sul banco degli imputati. Il leader di centrodestra si è giustificato spiegando di avere firmato perché erano state esercitate pressioni su di lui, che pure aveva delle riserve.
Quale alternativa è peggiore per la Grecia, essere costretta ad applicare il Memorandum o uscire dall’euro?
Entrambe sarebbero disastrose. Se l’attuale leadership cieca e sorda dell’Unione Europea continua in questo suo dogmatismo liberista, non farà altro che provocare ulteriormente la ribellione greca, che nelle elezioni si è espressa in una forma pacifica e democratica attraverso il voto. Il rischio è che ora si trasformi veramente nella rabbia feroce di un popolo sotto estrema pressione, e oggi la Grecia non è più la sola pecora nera dell’Ue, ma la crisi si sta espandendo rapidamente ovunque. E’ molto probabile quindi che il dogmatismo liberista e la dittatura del capitale finanziario portino alla fine della nostra bella Europa. Non è una scelta della Grecia, ma è l’Europa che deve decidere che cosa vuole, se ha realmente a cuore l’economia reale o se vuole solo continuare a giocare con i rating, gli spread e le bolle finanziarie.
(Pietro Vernizzi)