La Corte costituzionale egiziana ha sciolto il Parlamento, nelle mani dei partiti islamisti, e dichiarato incostituzionale la legge per estromettere il concorrente dei Fratelli musulmani dal ballottaggio delle presidenziali che si terrà domani. L’Egitto, che sembrava scivolato in una deriva islamista inarrestabile, si trova dall’oggi al domani a dover decidere tutto da capo. “Se il Parlamento verrà sciolto, il Paese finirà in un tunnel”, ha tuonato Essam El-Erian, vicepresidente del Partito Libertà e Giustizia. “I Fratelli musulmani pagano le conseguenze per il loro comportamento ambiguo – gli ribatte il professore egiziano Wael Farouq. Quella della Corte costituzionale è una decisione impeccabile sotto il profilo formale. Per i giovani di piazza Tahrir è un nuovo inizio, che spero affronteranno con meno ingenuità e senza ripetere gli errori del passato”.



Ritiene che quella della Corte costituzionale sia stata una sentenza “pilotata” dall’esercito?

Tutti gli esperti di diritto si aspettavano questa sentenza, in quanto la legge elettorale impediva a specifiche persone di presentarsi alle presidenziali ed era quindi una norma ad personam. La decisione non è l’effetto di pressioni esercitate dal Consiglio militare sulla Corte costituzionale, ma è la logica conseguenza dell’atteggiamento tenuto dai Fratelli musulmani negli ultimi mesi.



In che senso?

A lungo si sono rifiutati di fare una legge per impedire agli esponenti del passato regime di presentarsi alle elezioni presidenziali. All’ultimo hanno estromesso solo due figure, Omar Suleiman e Ahmed Shafiq. Cioè proprio colui che domani rischia di sconfiggere il loro candidato, Mohamed Morsi. Nessuna persona onesta in Egitto è pronta a difendere la legge dichiarata incostituzionale dalla Corte.

I Fratelli musulmani hanno già minacciato fuoco e fulmini …

Qualsiasi cosa abbiano detto si tratta di un problema loro. Per mesi hanno perseguito solo il loro interesse, invece del bene del Paese, puntando a controllare ogni cosa. Ora pagano giustamente per i loro errori.



L’azzeramento del Parlamento può rappresentare un’opportunità positiva?

Sì. La libertà è il più grande nemico dell’estremismo, e dopo essere rimasti in Parlamento per meno di un anno i Fratelli musulmani hanno perso il 50 per cento dei loro consensi. Se avremo una nuova tornata di elezioni libere, gli islamisti non saranno in grado di ottenere nuovamente la maggioranza. Sempre che si torni realmente alle urne, e su questo ci sono dei forti dubbi perché oggi l’Egitto si trova tra due fuochi: l’islamismo radicale e i rischi di una dittatura militare. Non a caso secondo alcuni analisti dobbiamo attenderci un colpo di Stato.

 

Secondo lei è a questo che mira l’esercito?

 

Il Consiglio militare si oppone al cambiamento, che spera di bloccare concedendo alcune riforme. I rivoluzionari puntano a trasformare la struttura stessa dello Stato, mentre l’esercito vuole limitarsi a estromettere Mubarak e a mettere fine alla corruzione nel governo. C’è un’enorme distanza tra questi due obiettivi. Non basta infatti un palliativo, occorre dare risposte profonde a un Paese dove il 40 per cento delle persone vive con meno di 2 dollari al giorno. Senza un cambiamento radicale questa situazione rimarrà sempre immutata.

 

Cosa accadrà ora?

 

I rivoluzionari hanno imparato la dura lezione dalle conseguenze delle loro divisioni e del fatto di essere privi di un’istituzione politica in grado di rappresentarli. Nell’ultimo anno però nello schieramento liberale sono emersi dei leader e delle persone capaci di formare una struttura politica più solida.

 

E se domani dovesse vincere Shafiq, un fedelissimo di Mubarak?

 

Se dovesse vincere Shafiq, a differenza del regime di Mubarak avrà la legittimazione di elezioni sostanzialmente, anche se non del tutto, regolari. Per i rivoluzionari la sfida sarà quindi ancora più dura, perché Shafiq rappresenterà i milioni di egiziani che lo hanno votato. Non sarà più quindi espressione della dittatura, ma del processo democratico che lo ha portato alla vittoria, e sarà quindi più difficile opporsi a lui.

 

Quali saranno le conseguenze?

 

Il linguaggio stesso della rivoluzione sarà costretto a cambiare radicalmente, le marce di protesta in piazza Tahrir non avranno più senso e il Paese si troverà diviso in due. I rivoluzionari dovranno quindi affrontare questa divisione del Paese, che nasce dalla loro stessa scarsa consapevolezza, lavorando innanzitutto per trasformare la società, anziché soltanto per conquistare il potere.

 

(Pietro Vernizzi)